I dibattiti

I principi del ministro e la realtà detentiva

(Ti-Press)

“Non si possono lasciare i delinquenti per strada”, dicono in molti. Se chi lo dice fosse realista si accorgerebbe però che a breve i delinquenti dovremo – forse già dobbiamo – lasciarli per strada. Il sistema giudiziario cantonale è così intasato da non poter più digerire il flusso di carcerazioni che magistratura (intasata pure lei) e polizia sfornano a getto continuo. Mancano magistrati, mancano agenti di custodia e mancano pure le celle. In questo contesto, il parlamento ha deciso di investire decine di milioni, probabilmente un centinaio, tra acquisti d’immobili e ristrutturazione del Palazzo di giustizia. Ma c’è di più: com’era ampiamente prevedibile, il Dipartimento istituzioni (Di) dichiara che occorre un nuovo carcere che, con la Cittadella della giustizia, ci porterà a spendere almeno mezzo miliardo di franchi. Certi politici pensano che i soldi crescano sugli alberi.

La sete di repressione dell’ex delfino leghista – sete che caratterizza le destre populiste di mezza Europa – gli ha impedito di applicare una strategia di sicurezza globale ed economicamente sostenibile; vale a dire una strategia di sicurezza che si articoli sullo sviluppo armonico e coordinato dei diversi tasselli che la dovrebbero comporre – repressivo/preventivo/riduzionista/mediatico – utili a controllare efficacemente una determinata problematica con le risorse a disposizione.

La strategia messa in atto dal Dipartimento mira al controllo sociale utilizzando prevalentemente lo strumento repressivo. Strumento che, tra i vari possibili, è il più costoso in assoluto. Si consideri che per quel che concerne la "Cantonale", ogni poliziotto che incontriamo per strada costa alla comunità oltre 150’000 franchi all’anno, una giornata di carcerazione 500 franchi. Non perdiamo di vista il fatto che oltre la metà della popolazione carceraria è reclusa per reati legati da lontano o da vicino a infrazioni alla legge sugli stupefacenti. E sulle piazze si trovano droghe di ogni tipo.

Tra Stampa e Farera ci sono 230 detenuti; ieri oggi domani e sempre si tratta di 115’000 franchi al giorno. Ma come detto oggi l’apparato repressivo è game over, la criminalità diffusa prospera, ed è fonte di profonda insicurezza nella cittadinanza. Si parla di “criminalità diffusa” quando un determinato comportamento deviante diventa capillare. Questo tipo di scenario nasce e si sviluppa nel caso in cui il rapporto rischi/benefici risulta molto basso, e i trasgressori hanno la possibilità di conseguire grandi guadagni assumendosi pochi rischi.

Quando troppe persone passano dal lecito all’illecito le strategie repressive si rivelano inadeguate. Riportare questi tsunami devianti sotto il controllo dello Stato è illusorio. Una strategia di tolleranza zero (come quella dichiarata dal Di) di fronte a un fenomeno di criminalità diffusa richiede talmente tante risorse da compromettere il normale funzionamento dello Stato. È successo a New York negli anni 90, quando l’apparato poliziesco costava il quadruplo dell’apparato sanitario della città e c’era un operatore sociale ogni 3,5 poliziotti.

Il Ticino presenta scenari di criminalità diffusa principalmente nei settori dell’informatica, dei furti, della criminalità economica e degli stupefacenti.

Esistono accorgimenti semplici per ridurre i rischi, ma di queste cose il ministro leghista non vuole sentir parlare per lo stesso motivo per il quale i concorsi per guardia carceraria non sono aperti a chi ha un permesso C. I suoi principi. Anche se la galera è sovrappopolata, anche se i concorsi per l’assunzione di nuovi agenti carcerari non riscuotono il successo auspicato, e anche se le guardie carcerarie sono esposte a un crescente rischio per la propria incolumità. Anche se la strategia adottata è totalmente illogica e irrazionale.

Tutto questo per dire che per essere efficaci i principi non bastano. Anzi: l’applicazione acritica di questi ultimi può portare a risultati devastanti per casse e sicurezza pubbliche. E ‘il gobbismo’ lo dimostra.

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