I dibattiti

Un Ticino ostaggio della frontiera?

(Ti-Press)

Il presidente Andrea Gehri, nel suo recente intervento all’Assemblea generale della Camera di commercio a Bellinzona, ha difeso giustamente il ruolo importante delle aziende nella creazione di ricchezza. Credo che a nessuno verrebbe in mente di contestare quello che mi sembra un’evidenza. Lo stesso si può dire del ruolo importante che svolgono l’Usi, la Supsi, i centri di competenza e le startup, che vedono sovente il Ticino in vetta alle classifiche internazionali. C’è però qualcosa che non quadra.

Come interpretare i numerosi indicatori sulla situazione socio-economica cantonale che tracciano un quadro del Ticino tutt’altro che rallegrante, con il tasso di disoccupazione più elevato della Svizzera, con salari tra i più bassi e un elevato rischio di povertà, per citarne solo alcuni? Come mai i giovani emigrano oltre Gottardo o all’estero, non solo per formarsi ma anche per lavorare e fare famiglia? Qualcosa non quadra.

Senza volere minimizzare il ruolo fondamentale e sempre più importante dei centri di competenza e delle università, non possiamo negare che in un contesto di circa 250'000 posti di lavoro questa realtà resta, per il momento, ancora marginale. L’incognita principale rimane invece il mercato del lavoro cantonale, legato a doppio filo alla sua collocazione geografica.

Da sempre, come documentano le numerose pubblicazioni di Angelo Rossi, l’economia ticinese è caratterizzata dalla presenza di aziende a basso valore aggiunto. A parte il relativamente breve periodo del boom della piazza finanziaria, in Ticino si insediano aziende che sfruttano, ma non è un giudizio di valore, la possibilità di produrre a basso costo, ciò che oltre Gottardo non sarebbe possibile, occupando così la coda della catena produttiva. Sovente i centri decisionali si trovano Oltralpe. Ma sovente però troviamo anche aziende, soprattutto italiane, attratte da facilitazioni fiscali (vedi Gucci), con le dinamiche che sappiamo. Senza misconoscere lodevoli eccezioni, queste aziende, pur producendo ricchezza, come afferma il presidente della Cc-Ti, se dovessero versare stipendi più alti, sarebbero obbligate a chiudere i battenti o a trasferirsi altrove.

La dipendenza del Ticino dalla frontiera è sempre più importante. Non bastano più i bassi salari versati ai residenti nei decenni scorsi per essere competitivi. Oggigiorno più di un terzo degli attivi è frontaliere. Ma non sono solo le aziende private a dipendere dalla frontiera. Il settore pubblico: pensiamo anche solo alla sanità, in ritardo da più di 50 anni nel formare il personale, senza i frontalieri sarebbe paralizzata. Ci si può chiedere se sia eticamente giusto attingere a piene mani al bacino italiano, tanto più che anche oltre confine si incomincia a reagire, ma questo sarebbe un ulteriore argomento di riflessione.

Non basta quindi osannare un Ticino dell’innovazione. E nemmeno sottolineare l’importanza delle aziende attive sul territorio. Per capire come siamo messi dovremmo disporre di un’informazione dettagliata sulla dinamica del mercato del lavoro ticinese: chi va e chi viene, quali aziende assumono e quali licenziano, quali qualifiche sono richieste, quali le mansioni e con quali condizioni, chi sostituisce residenti con frontalieri e altro ancora. Malgrado i numerosi e importanti indicatori pubblicati dall’Ustat, non disponiamo purtroppo ancora di un quadro statistico così dettagliato. La legge sull’armonizzazione dei registri amministrativi premetterebbe di ottenerlo, ma con un costo non indifferente e, per questo, potrebbe scontrarsi con i difensori del “decreto Morisoli”, per i quali, contrariamente a quanto diceva Einaudi (“conoscere per deliberare”), l’aspetto finanziario è prioritario.

Un quadro statistico dettagliato non risolve comunque i problemi. Permetterebbe però di meglio capire la complessità della realtà socio-economica cantonale, e di contestualizzare i vari approcci ideologici o di categoria. Sarebbe inoltre più facile individuare le potenzialità della nostra economia e capire se ci troviamo in un vicolo cieco, con un Ticino ostaggio della frontiera, o invece è ipotizzabile un Ticino più competitivo, attrattivo per i giovani e per aziende ad alto valore aggiunto.

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