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A chi servirebbe una sinistra rinunciataria?

(tipress)

Nel suo editoriale di ieri il direttore di questo giornale consigliava alla sinistra di lanciarsi in battaglie referendarie solo quando c’è la possibilità di spuntarla, anche quando la battaglia è giusta dal profilo dei valori. Con questo mio breve scritto mi permetto di dissentire da questa visione calcolatrice e rinunciataria, perché dovrebbero proprio essere le battaglie sui principi quelle che permettono alla cittadinanza di comprendere le differenze politiche tra le varie forze in campo, decidendo poi di sostenere l’una o l’altra visione.

Quali valori sono in gioco con la votazione sullo sgravio fiscale cantonale sul premio di cassa malati dei figli del 18 giugno? Quello della ridistribuzione della ricchezza, che questo sgravio peggiora chiaramente, dando a chi non ne ha bisogno e lasciando le briciole ai più, con il corollario di poi farne pagare le conseguenze a chi non avrà avuto niente. Quello della serietà sulla politica sociale, perché con questo provvedimento si riesce addirittura a far peggio del classico e tanto vituperato annaffiatoio, che almeno dava a tutti lo stesso, che una volta il centro e la destra combattevano e oggi invece riescono addirittura a superare in senso negativo. Due capisaldi per la convivenza sociale riassumibili nello scontro tra giustizia e ingiustizia, non due cosette da dimenticare in nome della conta della vittorie e delle sconfitte alle urne.
La politica dovrebbe proporre valori e visioni, se si rinuncia alle battaglie per paura di perdere, forse è meglio fare altro. Poi certamente bisogna saper convincere, cosa non facile, ma se non si propongono alla cittadinanza i temi su cui interrogarsi in attesa delle battaglie facili, rimangono solo le parole vuote, che non credo siano particolarmente convincenti.
Anche la votazione sul decreto Morisoli ha proposto questo confronto, la votazione c’è stata, il popolo ha creduto alle promesse della maggioranza e ora attendiamo di vedere come si farà a risparmiare davvero molti milioni senza peggiorare le prestazioni sociali, senza toccare politiche fondamentali, senza bloccare i progetti di cui questo Cantone ha bisogno.
Non tutti i confronti politici devono finire con un referendum popolare, ma quello su cui si voterà il 18 giugno propone comunque temi rilevanti dal profilo dei valori e ha un costo complessivo di 10 milioni all’anno, non proprio bruscolini se si pensa che anni fa andammo a votare per 1 milione una tantum per il sostegno alla nostra partecipazione a Expo 2015.
Se in un cantone maggioritariamente di destra la sinistra rinunciasse a porre ai ticinesi i quesiti sui valori collettivi di fondo, per cercare di portare una maggioranza a sostenere politiche che riducano le ingiustizie, che sostengano la qualità delle prestazioni pubbliche, allarghino l’inclusione e combattano l’individualismo imperante, farebbe contenti tutti gli altri, ma a che servirebbe? Capisco che in un mondo di narrazioni e di like a volte si possa cadere nella trappola della cura del profilo a scapito della missione, arrivando a non combattere delle battaglie per paura di passare per perdenti. Ma in politica chi ha paura del confronto ha già perso tutto in partenza.

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Il punto di vista dell'ex consigliere di Stato Manuele Bertoli è più che legittimo. È buffo però che scelga di esprimerlo ora, a parole, dopo 12 anni trascorsi in governo in cui, nei fatti, spesso si è dimostrato propenso a scendere a compromessi piuttosto indigeribili per buona parte del suo partito e per chiunque s’identifichi con una visione progressista della società e dell’economia.

Daniel Ritzer

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