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Le ambiguità di Amalia Mirante

Amalia Mirante è sicuramente un’economista di valore come insegnante alla Supsi, ma come politica è poco conosciuta se non a livello comunale. Non ha mai svolto attività sul piano cantonale e la si è vista poco agli incontri di partito o alle manifestazioni della sinistra se non a ridosso delle elezioni cantonali. Nel 2015 e nel 2019 è stata inserita su una lista socialista di cinque membri: quattro anni fa non ha brillato per un lavoro di squadra. Trascorso un altro quadriennio, eccola di nuovo farsi viva con la sua autocandidatura. Lo ha fatto non proprio a sostegno di un progetto rosso-verde. Infatti prima rivendicava una lista a maggioranza Ps che di fatto avrebbe affossato l’alleanza se fosse stata accettata. Il 7 settembre va dato atto alla minoranza di aver ritirato prima del voto la sciagurata proposta, dando così via libera alla formula attuale. Matteo Muschietti si è fatto in quattro per ribadire che la preoccupazione principale del gruppo minoritario era quella di evitare che qualsiasi decisione fosse una scelta di vertice. Dopo un’appassionata e costruttiva discussione, la base socialista ha così avallato una prima volta la scelta della direzione ad ampia maggioranza: quella cioè di proporre per i due posti in lista una candidatura di "esperienza" e una candidatura di "rinnovamento". I due mesi successivi sono stati un susseguirsi di esternazioni, di articoli, di lettere ai compagni, di presenze sui media ecc. volte ad attirare l’attenzione su Amalia Mirante, con il massiccio e certamente non disinteressato sostegno del Corriere del Ticino e di TeleTicino. Ne abbiamo sentite di tutti i colori: la direzione, che dal suo insediamento sembrava essere stata sostenuta ampiamente, è stata attaccata continuamente. In una delle interviste a TeleTicino ho sentito, per la prima volta, tre prese di posizione su altrettanti temi della stessa Mirante che si diceva contraria all’adesione all’Unione europea, ai bilaterali e alla tassa sul CO2.

E siamo così giunti al congresso del 13 novembre molto frequentato e certamente nervoso, visto che, contrariamente ad altri, il Ps dibatteva apertamente da settimane e continuava a farlo pubblicamente. La minoranza ha cercato di rimettere in discussione la decisione della conferenza cantonale con il cosiddetto emendamento Roncelli, scelta legittima, ma rifiutata democraticamente dalla base ampiamente. Il discorso di Mirante era particolarmente atteso per capire quale fosse la sua "diversità". Nulla di tutto questo, poiché ha incentrato l’intervento sulla sua famiglia e sul suo lavoro. Ancora una volta non ha svelato nulla di eminentemente politico. Per la seconda volta la base socialista, democraticamente, si è espressa a sostegno della direzione, accettando la candidatura di Yannick Demaria e scegliendo Marina Carobbio con 207 voti a 38 per Amalia Mirante.

Una volontà divisiva continuamente alimentata e che ora ha portato fino alle estreme conseguenze. L’autocandidata e i suoi sostenitori, infatti, rinnegano la giustificazione alla base dell’attivismo di questi mesi, cioè che si voleva soltanto una decisione democratica. Con le dimissioni di Mirante dal partito (a TeleTicino, si è mostrata una volta di più reticente sui contenuti) abbiamo la prova del nove: Il progetto rosso-verde non lo voleva, era pronta a farlo saltare; al partito, non ci teneva. Fin quando il Ps serviva ai suoi disegni personali andava bene. Ora l’abbandono per tentare di danneggiarlo e la costituzione di un ennesimo soggetto politico.

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