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Fare chiarezza sul principio ‘chi inquina paga’

Nell’ambito del dibattito sulle iniziative cantonali Ppd in tema di imposta di circolazione, si è parlato molto dell’utilizzo del criterio dell’emissione di CO2 per soddisfare l’asserito principio per cui "chi più inquina, più paga" (cfr. ad es. il comunicato stampa del Consiglio di Stato del 3 giugno 2022). Tali riferimenti mi sembrano contrastare con i principi costituzionali che si applicano al prelievo fiscale e mi fanno pensare che nella foga e repentina urgenza del dibattito si sia persa di vista la bussola costituzionale.

Anzitutto, non esiste alcun principio costituzionale generale per cui "chi più inquina, più paga". Esiste invece (ma nel diritto ambientale) un principio generale di causalità (art. 74 cpv. 2 Cost., art. 2 LPAmb) secondo cui chi causa dei costi deve essere tenuto a pagarli. Nell’ambito del diritto ambientale, quindi – e solo di quello – tale principio di causalità può essere quindi declinato secondo l’adagio di "chi più inquina, più paga". Determinanti però sono sempre gli effetti nocivi causati (p. es. rifiuti) e i costi per la loro prevenzione o rimozione (p. es. smaltimento dei rifiuti). La CO2 prodotta dalla propria automobile non potrebbe quindi avere un impatto sul costo del sacco Rsu.

Ora, l’imposta di circolazione non ha nulla a che vedere con il diritto ambientale. Si tratta, secondo la giurisprudenza federale, di una cd. "imposta di rivalsa dei costi", ossia un’imposta speciale, applicabile solo a un gruppo di contribuenti, che si trova, rispetto alla collettività, in un rapporto di maggiore vicinanza con una determinata prestazione statale. Vicinanza che giustifica di derogare all’importante principio di generalità dell’imposizione. Nel caso dell’imposta di circolazione, essa serve (almeno in via principale, la legge stessa è silente in merito) al finanziamento della manutenzione delle strade cantonali. Ne consegue che – giustamente – l’imposta viene prelevata da coloro che maggiormente beneficiano della messa a disposizione e manutenzione delle strade, ossia i detentori di veicoli.

Resta la tematica della quantificazione dell’imposta. Trattandosi di un’imposta vera e propria, i principi per la sua quantificazione devono risultare, secondo il Tribunale federale, da criteri pertinenti, rispettosi dei principi dell’uguaglianza giuridica e della proporzionalità (sentenza 2C_794/2015).

Nel caso delle imposte di circolazione ticinesi, a parere di chi scrive dei criteri pertinenti che esprimano e quantifichino correttamente il rapporto tra la prestazione statale (costruzione e manutenzione di strade) e la cerchia di contribuenti (detentori di veicoli) possono essere individuati, ad esempio, nel peso dei veicoli, nei chilometri percorsi annualmente e persino nella dimensione degli stessi. Le emissioni di CO2, per contro, sono palesemente un criterio alieno alla questione della manutenzione delle strade. Dimenticando per un momento che l’imposta di circolazione non è una tassa causale, se proprio occorresse ridurre il principio a uno slogan sarebbe quello per cui "chi più consuma le strade, più paga". Certo, trattandosi di un’imposta cantonale, non è escluso che il legislatore abbia un certo margine di manovra per perseguire degli obiettivi extra-fiscali (in questo caso ambientali). Poiché però si tratta di un’imposta che deroga dal principio di generalità dell’imposizione, senza però toccare altre fonti di produzione di CO2, ritengo che tale margine di manovra difficilmente consenta di dare a un criterio extra-fiscale come quello delle emissioni di CO2 una ponderazione simile a quella prevista dalla recente proposta governativa, o addirittura di renderlo l’unico criterio, come prevede l’iniziativa Ppd.

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