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Risaniamo i conti ma non i ponti?

(Ti-Press)

Immaginate di trovarvi su un lungo e malconcio ponte di legno sospeso – quelli di Indiana Jones per capirci – e di doverlo percorrere per intero. Con voi ci sono altre persone, tra cui i vostri amici e la vostra famiglia. Le assi che vi sostengono sono malmesse: scricchiolano e il rischio che si rompano facendovi cadere nel vuoto è alto. Ci sono tavole però che versano in uno stato decisamente migliore: sono robuste e ben salde, sono sicure. Qualcuno degli sventurati come voi chiede a gran voce d’investire per rinnovare la struttura, in modo da mettere in sicurezza prima le persone che si trovano sulle assi più pericolanti, e poi tutti gli altri. Ma da chi invece si trova (per nient’altro che pura fortuna) sulle assi messe meglio, giunge una risposta tassativa: "Eh no, prima bisogna pareggiare i conti".

Il baratro che si apre sotto al ponte lo conosciamo bene: è quello dei cambiamenti climatici che scombussolano gli ecosistemi in cui viviamo, con incendi, inondazioni, siccità prolungate, ondate di calore. Ma anche quello della crisi energetica, delle pandemie, dell’instabilità geopolitica, della polarizzazione e frammentazione delle società, dell’invecchiamento demografico. Sono sfide che necessitano di risposte immediate.

Il decreto che esige il pareggio dei conti cantonali entro il 31 dicembre 2025 ci impedisce di mettere mano al ponte per altri lunghi anni, rendendo la struttura ancora più fragile e aumentando il rischio che soprattutto chi si trova sulle assi più malconce finisca nel precipizio. Si vogliono risanare le finanze pubbliche attraverso tagli alla spesa negli ambiti della protezione dell’ambiente, della sanità e socialità, della formazione, della cultura e dello sport. Al contempo si esclude qualsiasi aumento delle imposte, anche per chi, dallo stato pericolante del ponte, guadagna soldi a palate.

Ma come si può far fronte alle sfide ecosistemiche se tagliamo nel settore ambientale? Come pensiamo di risollevarci dalla crisi pandemica se blocchiamo i contributi negli ambiti della sanità e della socialità? Come vogliamo convincere i nostri giovani a restare in Ticino, a dare il proprio contributo all’economia, alla politica e alla demografia del nostro Cantone, se tagliamo negli ambiti della formazione, dell’offerta culturale, dello sport? Come possiamo approfittare della ricchezza prodotta dall’economia se non chiediamo a chi si arricchisce di più di partecipare alle spese collettive? Come si può tutelare la sicurezza delle persone sul ponte fatiscente se non investiamo per rinnovarlo? E soprattutto, che senso ha una fragile e temporanea stabilità dei conti, se nel medio-lungo termine non saremo più in grado di assicurare l’equilibrio vitale tra società, economia e il pianeta che regge il tutto?

Le risposte sono semplici: non si può e non ha senso. Bisogna risanare il ponte e dobbiamo farlo ora, non forse dopo il 2025, perché ne va della sicurezza di tutta la società. Il prossimo 15 maggio è importante votare No al pericoloso decreto d’austerità voluto da una destra che guarda solo a un palmo dal suo naso e se ne infischia delle prospettive di chi, come me, ha davanti ancora un bel po’ di ponte da attraversare.

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