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Frontalieri: banche svendute

La Roadmap siglata dal Governo svizzero e quello italiano sanciva l’impegno reciproco nel risolvere i vari temi d’interesse comune. A partire dallo scambio automatico d’informazioni in ambito finanziario, ovviamente conveniente per l’Italia, all’accordo sui frontalieri, anche questo a vantaggio del Belpaese, che incasserà presto ben 300 milioni in più di imposte, contro i 15 milioni in favore dell’erario ticinese. Altre due questioni incluse in questo documento d’intesa, entrambe però a beneficio della Svizzera, l’eliminazione del nostro Paese dalla blacklist italiana e l’accesso ai mercati finanziari italiani per gli operatori bancari svizzeri, in particolare ticinesi. Con la recente ratifica del Parlamento svizzero dell’accordo dei frontalieri, di fatto l’Italia ha ottenuto tutto quanto chiedeva, alla Svizzera sono rimaste le briciole, o meglio, le solite e illusorie promesse di risolvere a breve le questioni aperte. La proposta individuale da me formulata per la sospensione della trattazione dell’accordo sui frontalieri fintanto che l’eliminazione dalla blacklist e l’accesso ai mercati finanziari fossero risolti, è stata sostenuta solamente dal gruppo Udc e dai due deputati del Centro ticinesi. Di fatto, l’ultima carta da giocare in ambito negoziale l’abbiamo buttata al vento. La gestione dei negoziati è stata a dir poco disastrosa e a pagarne il prezzo più alto sarà, ancora una volta, il Ticino. La nota peggiore la assegno però al Consiglio di Stato, che con visione miope si è accontentato della prospettiva di incassare 15 milioni in più all’anno, lasciando in balia degli eventi il settore bancario, che in Ticino occupa quasi 6’000 posti di lavoro. Settore che negli ultimi decenni ha subito un importante ridimensionamento e che ora, a causa della mancata risoluzione delle questioni aperte con l’Italia, rischia un ulteriore riassetto. Sono noti i recenti tentativi di colpire gli istituti bancari ticinesi da parte del fisco italiano, che senza mezze misure li ha minacciati di aprire procedure penali se non avessero pagato delle imposte, che in verità non sono nemmeno dovute in ragione dell’accordo che evita la doppia imposizione. Diverse banche hanno comunque pagato questa sorta di tangente per chiudere il contenzioso con il fisco italiano e per evitare una procedura penale assolutamente ingiustificata, che però avrebbe creato non pochi problemi. La reazione delle banche ha di conseguenza creato un precedente, non bisogna essere particolarmente veggenti nel prevedere che il fisco italiano verrà regolarmente a battere cassa in Ticino. A fronte delle difficili condizioni in cui deve operare, il settore bancario rimarrà lo stesso anche nei prossimi anni? Alcuni istituti potrebbero decidere di chiudere le attività in Ticino per spostarle nella vicina Lombardia, lasciando a piedi molti impiegati ticinesi? Gli attuali posti di lavoro del settore saranno garantiti anche in futuro? A queste domande dovrebbe rispondere in prima istanza il Consiglio di Stato, che ha purtroppo deciso di mettere a rischio questo importante settore economico, per soli 15 milioni in più all’anno di imposte.

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