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Da centro chiuso a centro d’accoglienza?

Da una prima lettura dell’articolo del 2 febbraio su laRegione, “Centro minorile chiuso, il sì si avvicina”, si potrebbe dedurre che i dadi sono stati tratti e che la realizzazione del Cecm diventi una formalità dopo il comunicato della commissione e il voto in Gran Consiglio. Ma attenzione, perché molti sono ancora i dubbi aperti!

Cominceremmo da quanto scritto nell’articolo del 29.1, dove lo scrivente, sconosciuto, riprende le affermazioni fatte dal magistrato dei minorenni Reto Medici al Quotidiano: la più grave è quella dove si afferma che il Centro accoglierebbe, per esempio, giovani che sì avrebbero difficoltà in famiglia, ma che non avrebbero commesso alcun delitto. Un non senso pedagogico e umano (gradiremmo una giustificazione legale in merito).

Continueremmo affermando che togliendo gli aspetti della contenzione fisica e del carattere carcerario, come pure quello punitivo e da riformatorio (per fortuna i membri del Ps l’hanno spuntata in commissione almeno su questi punti), si vuol forse far passare un segnale d’apertura o offrire un allettante dolce zuccherato per calmare chi di dubbi ne abbia ancora. Noi riteniamo però che non conoscendo ancora il concetto pedagogico (che dopo il messaggio del Gran Consiglio nel 2015 non ci è ancora noto) e le modalità di funzionamento di questo centro, diventa prematura una scelta ponderata e responsabile dello stesso. Ci sembra che a un cambiamento di nome debba seguire una chiara dichiarazione d’intenti contro la realizzazione dichiarata di una struttura chiusa: o possiamo interpretare il “centro d’accoglienza” quale struttura aperta, senza limitazioni e controlli?

Prendendo lo spunto dall’articolo di Alberto Gianinazzi, pubblicato su questo giornale il 28.1, ribadiamo il fatto che il tema della privazione della libertà e della recidività non viene finora affrontato. Oltre a ciò riteniamo che i 6 e oltre milioni di franchi dovrebbero essere spesi potenziando le strutture già esistenti. Inoltre a tutto ciò, è di questi giorni la notizia, raccapricciante (segnaliamo due articoli apparsi sul Tages Anzeiger il 31.1 e l’1.2), che in Svizzera mancano molti posti per le cure psichiatriche per i giovani (con una carenza cronica di personale qualificato). Molti di loro vengono rifiutati e devono aspettare mesi per ricevere una cura adeguata. Ci possiamo immaginare con quali conseguenze e pericoli. Il Ticino non è un’eccezione. I dati in nostro possesso parlano da sé e ci limitiamo a tre esempi: per i ricoveri di tipo pedopsichiatrico (fino a 16 anni) il Canton Ticino dispone di soli 5 posti letto all’Ospedale Civico di Lugano a fronte di 5 celle presenti presso il carcere giudiziario “La Farera”, destinate all’incarcerazione di minori tra i 15 e i 18 anni. Oppure che per la mancanza di una comunità terapeutica psichiatrica ogni anno vengono collocati circa 20 minori in differenti strutture fuori Cantone (nella maggior parte dei casi in Lombardia e Liguria).

Allora ci domandiamo, ripetendoci, perché non investire questa notevole somma per potenziare ed eventualmente cercare e creare nuove risposte ai bisogni del presente (vedi psichiatria giovanile). L’urgenza è evidente, per cui rinnoviamo il nostro appello al Gran Consiglio ticinese a evitare di votare il credito per un centro (Cecm) di cui non conosciamo ancora i contenuti.

Per concludere, visto che il Signor Medici afferma ripetutamente da anni che nella Svizzera d’Oltralpe vi sono centri simili al Cecm e le nostre ricerche indicano il contrario, lo invitiamo cortesemente a fornirci indirizzi e dati, che verificheremo.

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