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No alla liberalizzazione del mercato dell’energia

Il 18 giugno 2021 il Consiglio Federale ha adottato, nel mezzo della pandemia di coronavirus, forse propizia a tenere distratti gli animi su altre preoccupazioni, il messaggio concernente la “legge federale su un approvvigionamento elettrico sicuro con le energie rinnovabili”. La proposta di liberalizzazione totale del mercato elettrico è stata diluita, come si vede, in un’allettante cornice sulla promozione delle energie rinnovabili, in modo da non apparire troppo in evidenza. Una ragione per questa scelta c’è: infatti il 2 settembre 2002 il popolo svizzero aveva respinto con il 52,5% la legge sul mercato dell’energia elettrica che intendeva proprio liberalizzare il mercato elettrico per tutti i consumatori. Non soddisfatti dell’esito di quella votazione, Governo e Parlamento tornarono alla carica e, con la tattica del salame, approvarono il 23 marzo 2007 una nuova legge sull’approvvigionamento e sugli impianti elettrici, con la quale si liberalizzava il mercato solo per i grossi consumatori di più di 100’000 kWh annui, preannunciando la liberalizzazione totale per 5 anni dopo. La mossa quella volta ebbe successo, poiché nessuno se la sentì di lanciare il referendum. Ma per la seconda tappa i tempi non sembrarono allora ancora maturi. Ora il Consiglio Federale torna alla carica e ripropone la liberalizzazione totale anche per i piccoli consumatori, i quali “godrebbero” della libertà di scegliere i loro fornitori. Specchietto per le allodole, capace secondo il Governo di convincere il popolo dei pregi della proposta. Sui vantaggi di simile scelta, il Consiglio Federale non azzarda nemmeno un abbozzo di dimostrazione, si limita ad affermarli. Certo è che gli esempi di vantaggi delle liberalizzazioni, se non inesistenti, non abbondano, mentre sono numerosi gli esempi contrari per cui conviene rimanere discreti.

Il settore dell’energia, quella elettrica in particolare, è un tipico esempio di servizio pubblico che la popolazione ha tutto l’interesse a mantenere nelle mani dello Stato, nel nostro Paese ai suoi diversi livelli istituzionali: federale, cantonale e anche comunale. Le risorse idriche delle nostre Alpi, dighe e centrali e le nostre imprese di distribuzione regionali e locali, devono rimanere in mani pubbliche e non essere esposte al rischio di essere accaparrate da potenti gruppi privati (o pubblici) esteri. Abbiamo interesse a che l’approvvigionamento sia controllato da mani pubbliche, preoccupate in primo luogo del soddisfacimento dei bisogni degli utenti e non dei profitti degli investitori privati e dei loro azionisti, dietro cui si celano spesso fondi di investimento guidati da un’unica preoccupazione: la massimizzazione dei profitti degli azionisti, pronti per contro a sacrificare le necessità dei lavoratori e della società dove sono inserite. È pure necessario proteggere produttori e distributori nazionali dalla concorrenza sleale (dumping, imprese estere sovvenzionate) di energie fossili a basso costo.

Legare la promozione delle energie rinnovabili alla liberalizzazione del mercato non rileva da nessuna necessità: essa è perfettamente compatibile con il monopolio delle imprese di distribuzione in mani pubbliche, che già oggi ritirano l’energia fotovoltaica prodotta da una quantità di produttori privati. Il tutto richiede certo una regolamentazione, ma non necessariamente una liberalizzazione della distribuzione.

Invitiamo pertanto le Camere federali, che dovranno prossimamente esaminare il Messaggio del Consiglio federale, a ricordarsi del verdetto popolare del 2002 e a respingere l’ennesimo tentativo di imporre la liberalizzazione di un mercato, in questo caso dell’energia elettrica.

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