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Il buono e il cattivo

(Ti-Press)
8 ottobre 2021
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Trascorso il tempo del lutto ridotto al minimo perché caduto in disuso, vorrei, con naturalezza e buon garbo, commentare brevemente le circostanze di un recente funerale di un politico ticinese. Il defunto fu considerato universalmente come il “buono” del movimento che lo aveva sostenuto ed eletto sindaco della maggiore città del cantone. Ricordo, per segnare il rispetto dovuto alla circostanza, un detto pronunciato settant’anni fa, in dialetto, da mia nonna: “I bon i va e i gram i rescta.” Poi lascio al lettore il compito d’identificare chi sia il cattivo, già per la complessità di scoprire qualcosa di maligno in un assessore che dirige francescanamente, si fa per dire, le opere sociali di Lugano.

Si è spesso esterrefatti sul come si possano, in uno Stato sedicente liberale, affidare dicasteri e dipartimenti sensibili come quello degli interni al quale fa capo la polizia, a persone che nemmeno nascondono il loro disegno politico retrivo e il conseguente atteggiamento sociale marcato dall’avversione del diritto e di tutto ciò che sa di solidarietà. Alle esequie realizzate in uno stadio, probabilmente per dare alla morte un senso e un significato ludico, disimpegnato e ricreativo di gioco, c’erano tutti, ma proprio tutti quelli che contano o, nella minuscola provincia ticinese, s’illudono di valere qualcosa. La presenza di due vescovi, che lasciano la loro splendida cattedrale del XV secolo per un campo sportivo, ha posto due interrogativi: il primo; ci si può chiedere se un abbandono di sede non rappresenta il suggello della decadenza e dell’indecenza di una religiosità che dovrebbe essere, come scrisse Erich Fromm, modello di vita e non oggetto di possesso come oggi generalmente si manifesta? Il secondo; è opportuno per la Chiesa promuovere supinamente una malcelata operazione di strategie di mercato per favorire la costruzione di un nuovo campo da gioco con un contorno di opere edili fuori scala, avversate da un referendum?

Anche in conseguenza di ciò la cerimonia funebre dello scorso 17 agosto si può definire, grosso modo, spagnolesca, cioè conforme al gusto del fastoso, del sussiegoso, del pomposo e del magniloquente. È stata l’esatto contrario della compostezza, della discrezione e della modestia dei funerali di Giovan Battista Rusca, celebrato nel mese di gennaio del 1961. GB Rusca fu sindaco di Locarno per quarantun anni e promotore, con l’amico e presidente francese Aristide Briand, nell’ottobre del 1925, della conferenza che portò, con la conclusione di un patto di sicurezza, a una breve distensione delle relazioni tra le grandi potenze europee. Con l’avvento della Lega, la storia e i valori fondanti dei nostri partiti, sono purtroppo confluiti nel banale e ridotti a un supermercato. La Lega in particolare è una bottega in cui trovi di tutto, persino un sindacato concepito da furbetti che lo fondarono per fregare i lavoratori più umili. Mussolini fu più franco dei suoi accoliti di oggi, quando costituì le organizzazioni operaie corporative. Intanto il cattivo, settimanalmente, sul domenicale che dirige, si esprime con non poca tracotanza e supponenza. Il “santo subito” rivendicato per il defunto con l’applauso, tutto italiano, alla fine della cerimonia, avvicina l’evento più alle esequie di un Casamonica a Roma che non al costume maturato in un paese povero che si è rinvigorito, come scrisse Piero Bianconi, con i caratteri di un povero paese (povero nel senso di culturalmente misero e privo di grazia). Per completare l’opera al funerale è mancato solo l’elicottero che aspergeva la bara con una pioggia di rose. Per il resto lo stile enfatico rifletteva fedelmente il costume di un ventennio della prima metà del secolo scorso.

Anche per un non credente, che tuttavia comprende la gigantesca importanza culturale e artistica del cattolicesimo, rimuovere il significato simbolico della chiesa al centro del villaggio e sostituirla con uno stadio alla sua periferia, così come coinvolgere alte gerarchie ecclesiastiche (ingenue?) in operazioni di marketing, comporta significati metaforici giustificati solo dallo sfacelo di tutti i valori alla radice dei tre partiti storici che sostenevano la prassi politica prima dell’avvento del movimento fondato nel 1991 dal Bignasca. L’imprenditore edile lo fece, copiando la Lega Nord, per ripicca al partito liberale radicale, allora egemone, che secondo il suo parere, non rispettava gli accordi clientelari imposti dai clan finanziari e dagli imprenditori luganesi. Il successo formidabile della Lega ricorda l’avversione dei ticinesi alla Costituzione del 1848, bocciata con maggioranze bulgare per ben due volte e arretra il Ticino nella situazione degli anni venti del secolo scorso quando i giudizi contrastanti sul regime mussoliniano portarono, nel 1934, al distacco dal partito liberale radicale della sua frangia antifascista, che creò il partito liberale radicale democratico. La scissione perdurò fino al 1946. Tuttavia la ricomposizione del Plrt, riportò nel partito molte persone in mala fede che ebbero il sopravvento sui democratici e i radicali del secolo scorso. Il partito liberale, che oggi si arroga abusivamente dell’aggettivo di radicale, è oramai riconosciuto dalla gente comune come il “partito degli affari”. Il “clientelismo” della Lega, supportato da tutti quelli che non condividono la solidarietà e i valori antifascisti, è la ragione, oltre che fondante del movimento leghista, della sua resistenza e della persistenza nel tempo.

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