I dibattiti

La realtà ospedaliera ticinese

ti-press
31 agosto 2021
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Nella Regione di venerdì scorso Fabio Dozio critica la riforma del sistema di finanziamento ospedaliero introdotto con la riforma della LAMal nel 2012 poiché secondo lui avrebbe l’effetto di imporre ai “cittadini contribuenti” di “ingrassare gli azionisti delle cliniche private”. Io sono un cittadino contribuente e sono stato e parzialmente rimango un amministratore di cliniche private. Sono stato anche un politico ed ho votato nel parlamento federale la revisione della LAMal del 2012. Secondo Dozio sarei quindi (con una molto grande maggioranza di colleghi parlamentari) un complice di quella secondo lui vergognosa operazione che ingrasserebbe dei “parassiti”. Ma ne sarei anche, in quanto buon contribuente, una vittima.

In realtà le cose non stanno come le racconta Dozio, per varie ragioni, la prima delle quali è la constatazione che le cliniche private sono suddivise in due categorie, quelle che non praticano sanità a carico dell’assicurazione obbligatoria (LAMal) e non ricevono quindi nessun contributo pubblico e quelle che invece praticano a carico della LAMal, poiché così hanno deciso le autorità cantonali: In Ticino ce ne sono parecchie e le principali, in particolare quelle che praticano medicina acuta, hanno degli azionisti, altre però no. A mia conoscenza nessun azionista di cliniche private ticinesi negli ultimi è anni “ingrassato”, poiché lavorare a carico della assicurazione LAMal è raramente conveniente, viste le regole in vigore, malgrado comportamenti finanziari rigorosi.

Quali cambiamenti ha messo in atto la riforma del 2012? Il finanziamento oggettivo (per stabilimento) del sistema LAMal è stato sostituito dal finanziamento soggettivo (individuale) e il principio del rimborso delle spese degli ospedali è stato abbandonato a favore del finanziamento delle prestazioni che forniscono. Quindi, in contrasto con quanto scrive Dozio, non vi sono sussidi del Cantone agli stabilimenti ospedalieri né pubblici né privati, ma si sussidiano le prestazioni fornite dagli ospedali agli assicurati nella misura del 55% del loro costo, versandoli – per semplicità – invece che alle casse malattia – di cui ben pochi si fidano – direttamente agli ospedali in quanto prestatori di quelle cure sanitarie. Le casse malattia si occupano di pagare il restante 45%, per cui la pressione finanziaria sugli assicurati attraverso i premi è necessariamente contenuta. Altra importante regola introdotta dalla riforma del 2012 è stata la parificazione delle tariffe: le prestazioni ospedaliere (stazionarie) a carico della LAMal sono pagate agli ospedali e alle cliniche esattamente nello stesso modo.

La riforma della LAMal del 2012 è stata una delle poche riforme veramente utili per cui, invece di criticarla con l’obiettivo sciocco di parlar male dei privati, bisogna parlarne bene. È stata giusta ed efficace negli obiettivi che perseguiva, introducendo innanzitutto parità di diritti per tutti gli assicurati e permettendo inoltre sia un contenimento della progressione dei costi ospedalieri che del loro peso a carico delle finanze della popolazione degli assicurati, confrontata con aumenti esagerati dei premi: come scrive un rapporto dall’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) al Consiglio federale del giugno del 2019: “Nel 2016, il 48 per cento di tutte le spese ospedaliere stazionarie soggette alla LAMal in Svizzera è stato finanziato dai premi dell’Aoms (assicurazione obbligatoria, ndr), contro il 53 per cento nel 2013”.

L’obiettivo di contenere l’aumento dei costi nel settore ospedaliero stazionario, garantendo al contempo l’accesso a cure di alta qualità, è stato perseguito attraverso l’intensificazione della concorrenza tra gli ospedali grazie a una maggiore trasparenza nella loro gestione e una maggiore libertà di scelta per gli assicurati. Allo stesso tempo, con la pianificazione ospedaliera cantonale si sarebbe dovuto impostare un miglior utilizzo delle capacità degli ospedali, razionalizzando. Scrivo “si sarebbe dovuto” poiché quello che è successo in quasi tutti i Cantoni non è accaduto in Ticino, unico Cantone nel quale l’ente pubblico ha fallito, non portando a termine né tempestivamente né nel merito una pianificazione degna di quel nome, perché alla parola “razionalizzare” ha reagito positivamente solo la medicina privata e non quella pubblica, vittima della politica del voler far tutto e dappertutto, e soprattutto perché il Cantone non ha svolto la preventiva verifica dei bisogni sanitari reali della popolazione, il che ha indotto il Consiglio federale a bocciarla. Di questo l’Associazione per la difesa del servizio pubblico (di cui Dozio ed io siamo soci) avrebbe dovuto dolersi: lo strumento principe di garanzia del servizio pubblico non ha infatti funzionato.

Se si vuole parlare e scrivere in pubblico del sistema ospedaliero, e forse in Ticino sarebbe opportuno farlo maggiormente, ci si dovrebbe innanzitutto liberare dai pregiudizi nei confronti della sanità privata ed affrontare la realtà ospedaliera ticinese, compresa quella pubblica, per quello che realmente è: un insieme di ospedali tutti troppo piccoli per poter svolgere bene la loro funzione. Definendo in modo insolente i privati dei “parassiti” non si arriva da nessuna parte.

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Fulvio Pelli conosce bene il tema perché è membro del Consiglio d’amministrazione del “Swiss Medical Network”, uno dei due maggiori gruppi svizzeri di cliniche private. Le sue argomentazioni sono interessanti. Al di là di tutte queste contestualizzazioni rimane il fatto che la concorrenza tra pubblico e privato è sbilanciata.

Non sono io a dirlo. Lo dice l’Associazione per la difesa del servizio pubblico, che cito, e lo ha detto recentemente il direttore dell’Eoc Glauco Martinetti in almeno tre interventi (Il Caffè, Rsi, Azione).

Fabio Dozio

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