I dibattiti

Il trionfo della politica nazionale scoordinata

In questo contesto pandemico continuano a essere emanate norme tra di loro contraddittorie

Janet Yellen (Keystone)

Regolamentazione, una parola più che mai delicata in questo contesto pandemico in cui si riescono a emanare norme tra di loro contraddittorie. Tanto per citare un esempio, durante queste vacanze pasquali, la Francia diversamente da Italia, Austria e Germania non ha autorizzato il transito stradale degli automobilisti verso un altro paese europeo senza un test Pcr. Trionfa la politica nazionale scoordinata e inefficiente malgrado alla guida dell’Europa ci sia una potente commissaria tedesca il cui paese però, in questo momento, sta facendo fronte a molti interrogativi sulla lentezza procedurale nella somministrazione dei vaccini. I Land tedeschi come il cantonalismo svizzero?

Come in tutte le crisi, le soluzioni richiedono tempo per Paesi alla ricerca di consenso e poco avvezzi a poteri centrali a meno che non subentri la sindrome di Caporetto – dal nome della disfatta italiana contro gli imperi centrali durante la prima guerra mondiale – che ricompatta le coalizioni in un imperativo di emergenza nazionale.

Nel caso delle reti digitali sembra che la nuova amministrazione americana voglia seguire una regolamentazione certamente delicata, se si misura alla repressione della libertà d’espressione nei sistemi autoritari. Diversamente dall’amministrazione Trump, la libertà assoluta della rete con regole compiacenti riguardo a notizie false, l’invasione della privacy o il non rispetto dei diritti d’autore viene rimessa in discussione proprio dalla nomina di alcuni degli esponenti più critici del Big Tech: Lina Khan alla testa dell’agenzia delle comunicazioni e Tim Wu responsabile delle politiche competitive e tecnologiche. Non di certo una scelta suprematista bianca, ma basata innanzitutto sulle competenze di giovani accademici che riescono a guidare l’evoluzione dei nuovi media al di fuori delle logiche partitiche. Due personalità con un retaggio culturale asiatico da opporre ad altrettanti brillanti asiatici alla testa di colossi digitali quali Microsoft e Google. L’obiettivo è chiaro: ribadire l’importanza della mano invisibile e la privacy del libero mercato opposta a quella visibile del grande fratello che detta il passo dell’innovazione e le scelte dei consumatori senza il rispetto delle garanzie fondamentali.

Con valutazioni multimiliardarie innescate dalla bolla bipolare della pandemia, invece che sulla politica monetaria dei tassi e della regolamentazione nulla, si è pensato finanziariamente di premere sulla fiscalità coercitiva rilanciando la spesa pubblica. Tutto ciò sotto le premesse della ex governatrice della Federal Reserve, Janet Yellen, ora alla testa del Tesoro americano, che propone di ridimensionare le oasi fiscali su cui si poggiano gli stessi colossi digitali. L’effetto è quello di un rafforzamento del dollaro in un contesto dove la spesa e gli investimenti sono virtuosi non solo per Tesla e Amazon, regolarmente senza profitti, ma anche per una collettività di un paese su cui si può e si deve fare ancora affidamento.

E l’opinione pubblica, molto divisa fino all’uscita scenografica di Trump, sembra concordare su questo New Deal che si delinea nei corridoi di Washington. Possiamo solo augurarci che la ricerca di questo nuovo consenso fuori dal canovaccio autocratico si svolga secondo i criteri di una nuova modernità tutto sommato appagante in una liberaldemocrazia.

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