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I ladri di polli in carcere, la casta libera

Il 19 marzo scorso, il Credit Suisse, precedentemente annoverato quale azienda cardine dell’economia svizzera, è giunto al suo triste epilogo a causa di ricorrenti scandali, pessimi risultati finanziari e gravi carenze riguardo alla gestione dei rischi.

Déjà vu! Il 16 ottobre di 15 anni fa la Confederazione e la Banca Nazionale Svizzera intervennero mediante un salvataggio pubblico di 60 miliardi di franchi per preservare l’Ubs. In seguito a questa operazione, si ribadì l’impegno a non dover mai più affrontare una situazione simile. La promessa era che mediante l’implementazione di rigorose misure legislative si sarebbero limitati i rischi economici provenienti da alcune banche troppo grandi per fallire (too big to fail) e si sarebbe evitato di ricorrere a ulteriori aiuti pubblici.

Purtroppo, questa promessa non è mai stata mantenuta. Nonostante l’inasprimento della regolamentazione bancaria non si è riusciti a disincentivare la presa di rischi oltremisura, in quanto sempre in fondo rimaneva il presagio di un salvataggio pubblico. Ne risulta che le istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica godono oggi più che mai di un’implicita assicurazione anti-fallimento. Successivamente alla crisi dei mercati finanziari del 2007-2008, è stata istituita l’Autorità Federale di Vigilanza sui Mercati Finanziari (Finma) incaricata di garantire la tutela dei clienti del mercato finanziario e di assicurarne il regolare funzionamento. È innegabile, dal mio punto di vista, che la Finma abbia manifestato gravi lacune nel suo ruolo di vigilanza ed enforcement. Tuttavia, è importante sottolineare che questa authority non è mai stata investita di poteri sanzionatori proporzionali rispetto alle grandi istituzioni finanziarie che è tenuta a supervisionare.

In considerazione di quanto sopra riportato sorge il legittimo dubbio che la classe politica non abbia ancora saputo né voluto reagire adeguatamente all’indignazione e alle aspettative dei cittadini. Già nel 2011, durante i dibattiti sulla revisione della legge sulle banche presso il Consiglio degli Stati, Dick Marty ha ribadito che coloro coinvolti in queste follie finanziarie spesso rimangono nella più totale impunità. Impunità che negli anni si è palesata sia a livello nazionale, con il fallimento prima di Swissair e poi di Ubs, sia a livello ticinese, con il fallimento della Bsi e della Darwin Airline.

È proprio la reticenza della classe politica riguardo alla contemplazione di pieni poteri sanzionatori e di una revisione del Codice penale per una maggiore severità nella responsabilità in materia di reati finanziari che solleva il sospetto di una volontà di garantire impunità a una determinata casta. Negli ultimi 20 anni, la classe politica ha dimostrato un atteggiamento servile e sottomesso a poteri finanziari, persino quando questi si sono dimostrati fallimentari se non addirittura criminogeni. La realtà è che a pagare sono innanzitutto i dipendenti di queste società e successivamente l’intera cittadinanza.

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