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Non è un paese per docenti

Essere o non essere docente, questo è il dilemma. Una domanda che molti giovani si pongono, me compreso, da spettatori del trattamento che il Canton Ticino riserva a questa professione.

La prima problematica è la carenza di volontà di dialogo, che porta all'adozione di decisioni unilaterali. Il Gran Consiglio ha approvato l'introduzione del tedesco in prima media senza considerare l'opinione del corpo docenti, contrario per il 60% secondo un sondaggio della Vpod. Altro aspetto rilevante è la questione finanziaria: oltre a stipendi sotto la media svizzera, vi è ora la minaccia di un taglio drastico delle pensioni, nonostante i contributi a fondo perso dei dipendenti pubblici per il risanamento della Ipct.

Stiamo assistendo a un progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro e di insegnamento. Per esempio, il numero di iscrizioni al Dfa per un master in insegnamento della matematica per le Sm è da tempo inferiore al fabbisogno. Come rimedio non si è deciso di migliorare l'attrattività della professione, bensì di ampliare il bacino di possibili candidati a persone che dovranno completare la loro formazione in matematica nel corso dell'abilitazione. C'è da chiedersi se questa scelta non rischi di intaccare la qualità dell'insegnamento.

Da studente universitario d'Oltralpe avrei volentieri considerato la scuola ticinese come un possibile sbocco professionale. Le ultime peripezie della politica mi portano però a riconsiderare questa opzione, come credo faranno altri nella mia stessa situazione.

Un'inversione di tendenza è quanto mai necessaria, con misure che valorizzino e rispettino la professione di docente. Investire nella scuola significa investire in una popolazione istruita e informata. Altrimenti, come sempre, saranno le generazioni future a subirne le conseguenze.

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