Estero

Scontri Thailandia-Cambogia, la pace rischia di saltare

8 dicembre 2025
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Lungo il confine tra Thailandia e Cambogia si spara di nuovo. E le speranze di un orizzonte di pace stabile tra i due Paesi, auspicio dell'accordo di de-escalation sponsorizzato un mese e mezzo fa dal presidente statunitense Donald Trump in persona, sono tornate a barcollare. La ripresa di attacchi aerei e scaramucce tra i militari di Bangkok e quelli di Phnom Penh, protagoniste di una disputa secolare per il controllo di alcune aree a cavallo della frontiera comune, è avvenuta nelle ultime 48 ore circa, dopo alcuni mesi di relativa tregua.

Ci sono alcune vittime: almeno un soldato thailandese e quattro civili cambogiani, secondo fonti ufficiali delle due parti. Inoltre, su entrambi i lati del confine si contano diversi feriti. Mentre diverse decine se non centinaia di migliaia le persone costrette a lasciare in fretta e furia le loro case e cercare rifugio altrove. Auto, moto, carri, trattori o camioncini: come mostrano diversi media, qualsiasi mezzo è valido pur di scappare. Code chilometriche di civili in fuga sono state riportate sia in territorio thailandese sia in quello cambogiano.

I due Paesi si rinfacciano a vicenda la responsabilità della ripresa delle ostilità. Inizialmente, la Thailandia aveva riferito di un proprio soldato ucciso e altri quattro feriti in attacchi cambogiani nella provincia di Ubon Ratchathani, aggiungendo di aver risposto con raid aerei "per colpire obiettivi militari". Diversa la versione di Phnom Penh, secondo cui le forze thailandesi hanno lanciato attacchi nelle province di Preah Vihear e di Oddar Meanchey, mentre le proprie truppe non avrebbero reagito.

La tensione è rimasta alta anche dopo i primi segnali di nuova escalation. Il premier thailandese Anutin Charnvirakul non ha escluso ulteriori operazioni militari "in caso di necessità", mentre quello cambogiano Hun Manet ha detto che il suo Paese "rispetta la sovranità e l'integrità territoriale" dei vicini, "ma non permetterà a nessuno di violare la propria". La possibile riapertura di uno dei diversi fronti caldi attivi in Asia, come la fase di grave crisi tra Cina e Giappone, è stata accolta con preoccupazione dalla comunità internazionale: sia dall'Onu sia dall'Unione Europea sono partiti appelli alla de-escalation, con Bruxelles che chiede inoltre di "tornare alla dichiarazione firmata il 26 ottobre". Quel giorno, durante un vertice con il presidente statunitense Trump in Malesia, Thailandia e Cambogia si erano impegnate a mettere da parte la loro annosa disputa territoriale, sfociata in estate in scontri con almeno 43 morti, e a risolvere le loro differenze "in modo pacifico".