Colombia

Sfruttamento e abusi: l'inferno dietro le webcam erotiche

Un rapporto di Human Rights Watch svela le condizioni di lavoro precarie e antigieniche delle modelle delle piattaforme di intrattenimento per adulti

Immagine di archivio
(Depositphotos)
11 dicembre 2024
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Molte delle donne che in Colombia lavorano come modelle in webcam lo fanno in condizioni di vulnerabilità, lavoro abusivo e, in molti casi, sotto pressione per compiere atti sessuali davanti alla telecamera senza consenso e in condizioni antigieniche: è quanto ha concluso la ricercatrice Erin Kilbride in un rapporto di 175 pagine pubblicato da Human Rights Watch (Hrw).

Dopo 18 mesi di indagini nel Paese insieme a due organizzazioni guidate da prostitute, decine di interviste con lavoratrici del settore e visite alle sedi di queste aziende, l'ong ha potuto stabilire che alcune di loro lavorano fino a 18 ore al giorno, ricevono multe per fare pause o andare in bagno e affrontano abusi verbali e fisici. Molte delle ragazze lavorano in studios all'interno di cubicoli di un metro per due, divisi fra loro solo da tendine e che non vengono puliti dopo ogni utilizzo: le spese di pulizia, spesso, vengono addebitate alle lavoratrici.

"Lo sfruttamento sessuale non è inerente all'uso di webcam", ma è un luogo in cui "possono facilmente verificarsi molteplici forme di sfruttamento lavorativo", afferma il rapporto. In Colombia esistono diverse piattaforme che offrono questo tipo di servizi online e molte donne, soprattutto giovani, decidono di accettare questo tipo di lavoro per vari motivi, tra cui la mancanza di opportunità e di accesso al mercato del lavoro formale.

Ma ciò che rimane in tasca alle donne è una minima parte: come si legge nel rapporto, infatti, in media le piattaforme, in genere multinazionali, che ospitano le sessioni di streaming trattengono tra il 50 e il 65% del reddito generato dalle modelle in webcam. Poi, in cambio della fornitura di un computer, di una telecamera e di una rete Wi-Fi, lo studio trattiene il 60% di quanto la piattaforma paga: le lavoratrici percepiscono il poco che rimane.

E c'è, infine, un altro aspetto più inquietante: come raccontano le donne intervistate, spesso gli studios non permettono loro di "portare con sé" l'account utilizzato per trasmettere se decidono di lavorare per altre piattaforme o da casa per evitare le trattenute sui compensi da parte degli studios e lavorare in condizioni migliori. Questi account "riciclati", intestati dunque a modelle adulte ma non più impiegate, permettono dunque agli studios di aggirare le procedure di verifica dell'identità e soprattutto dell'età delle lavoratrici, aprendo la strada all'assunzione di ragazze minorenni per la produzione di materiale pedopornografico.

"Le politiche della piattaforma spesso proteggono il controllo dei titolari degli account degli studios sugli account delle modelle registrati presso lo studio e non rispondono prontamente alle modelle che li contattano per chiedere assistenza nella chiusura o nel trasferimento dei loro account. Ignorando le richieste delle modelle adulte di assumere la proprietà dei propri account, le piattaforme facilitano la potenziale creazione di materiale pedopornografico", scrive Human Rights Watch.

"Le piattaforme non sono riuscite a sviluppare protocolli di due diligence sufficienti in materia di salute, sicurezza, igiene e condizioni di lavoro per gli studios con cui collaborano", si legge nel rapporto.