Italia

Ci risiamo, alta moda nel mirino dello sfruttamento

Dopo Armani e Alviero Martini, un altro brand del lusso cade nella rete dei Carabinieri per sfruttamento del lavoro

In passerella
(Keystone)
10 giugno 2024
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Sfruttamento. Sono le accuse rivolte a un’azienda operante nel settore dell’alta moda. Ancora una volta. Dopo il caso Armani e quello di Alviero Martini, di nuovo un’azienda legata al lusso è finita sotto la lente dei Carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro di Milano.

La società è ritenuta “incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative, ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”.

Gli inquirenti hanno potuto accertare come la casa di moda affidasse, attraverso una società in house creata ad hoc per la creazione, produzione e vendita delle collezioni di moda e accessori, mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi. La stampa italiana parla della francese Dior.

Diverse violazioni

“L’azienda fornitrice dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento – ha spiegato un comunicato stampa della Procura –. Tale sistema consente di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo l’opificio cinese che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza ‘in nero’ e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nonché non rispettando i contratti collettivi nazionali di lavoro di settore riguardo a retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie”.

È stata anche individuata una società “cartiera” regolarmente autorizzata dal brand alla sub-fornitura che non provvedeva in concreto alla realizzazione dei manufatti ma rappresentava un mero serbatoio di lavoratori, i quali una volta assunti venivano impiegati direttamente presso la società appaltatrice lasciando di fatto gli oneri fiscali, contributivi e retributivi a carico della distaccante, così abbattendo i costi da lavoro. Pertanto è stata individuata anche una fatturazione per operazioni inesistenti a carico della ditta sub-appaltatrice.

In particolare, sono stati controllati quattro opifici tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 32 lavoratori di cui 7 tra occupati in nero di cui 2 clandestini sul territorio nazionale. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri ecc.), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione ecc.), nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente e in condizioni igienico-sanitarie sotto il minimo etico. Lo attesta peraltro il filmato che è possibile visionare in questo articolo.

Denunciati a vario titolo per caporalato e per altro cinque titolari di aziende di diritto o di fatto di origine cinese, nonché 2 persone non in regola con la permanenza e il soggiorno sul territorio nazionale oltre che comminate ammende per circa 200mila euro.

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