Estero

Israele non va ai negoziati, la tregua si fa più lontana

‘Prima vogliamo la lista degli ostaggi vivi’. Mentre Hamas esige un cessate il fuoco permanente nella Striscia di Gaza

A Gaza si cercano i dispersi dopo l’ennesimo bombardamento israeliano
(Keystone)

Dopo le speranze, alimentate dagli Stati Uniti, si è tornati a un punto morto che allontana una nuova tregua a Gaza. I negoziati sono ripresi al Cairo con i mediatori regionali e gli Usa, ma Israele non ha inviato una delegazione. La motivazione è che Hamas si rifiuta di fornire una lista dei 130 ostaggi ancora detenuti a Gaza (inclusi i trenta che si ritiene siano morti) e avanza richieste considerate “assurde”. Gli emissari di Usa e Qatar sono tornati nella capitale egiziana con la speranza di facilitare un cessate il fuoco entro il Ramadan, il 10 marzo. Washington aveva fatto filtrare segnali di ottimismo, riferendo che Israele aveva accettato in linea di principio un accordo per una pausa nelle ostilità di sei settimane e il rilascio inizialmente di una quarantina di ostaggi.

Ma lo Stato ebraico si è rifiutato di partecipare ai colloqui al Cairo, accusando Hamas di aver fornito risposte “parziali”. Altro nodo irrisolto è che Hamas ha ribadito di volere un cessate il fuoco permanente o almeno un’intesa su un percorso in quella direzione. Mentre il premier israeliano Benyamin Netanyahu non ha intenzione di fermare l’offensiva militare per “distruggere” il gruppo che governa la Striscia. La fazione palestinese ha poi messo sul piatto la richiesta del ritorno degli sfollati nel nord di Gaza e un aumento degli aiuti umanitari “fino a 400-500 camion al giorno”, rispetto agli 80 attuali. Questioni aperte, tanto che una fonte della delegazione di Hamas in Egitto ha fatto sapere che un accordo in 24-48 ore è “improbabile”. Il conflitto, anziché fermarsi, si inasprisce. Il ministero della sanità di Gaza, guidato da Hamas, ha denunciato 90 morti in 24 ore, tra cui quattordici membri di una famiglia, tra cui due gemelli di quattro mesi che sarebbero stati colpiti in casa, a Rafah.

L’esercito israeliano è tornato a respingere le sue responsabilità nella strage di civili il 29 febbraio: “L’indagine iniziale – ha riferito il portavoce Daniel Hagari – ha confermato che nessun attacco è stato condotto verso il convoglio di aiuti e che in maggioranza i palestinesi sono rimasti uccisi o feriti come conseguenza di una calca”. L’esercito ha sparato soltanto contro “ladri” che minacciavano la sicurezza dell’area. In ogni caso, la situazione per i civili nella Striscia si fa sempre più insostenibile. Secondo l’Onu la carestia minaccia ormai oltre due milioni di persone.

In Israele, intanto, il governo deve fare i conti con turbolenze interne. Oltre alle decine di migliaia di persone che continuano a scendere in piazza per chiedere le dimissioni di Netanyahu e il ritorno a casa degli ostaggi, si è aperto un caso all’interno dell’esecutivo di unità nazionale. La missione di Benny Gantz negli Usa per incontrare la vicepresidente Kamala Harris, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan e membri del Congresso, pare non fosse concordata con il premier, che ha dato istruzione all’ambasciata di Washington di non assistere il leader centrista, membro del gabinetto di guerra.

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