Estero

Al via domani il rilascio dei primi 13 ostaggi

Rimandata di un giorno la tregua a Gaza per iniziare lo scambio di rapiti e prigionieri. Israele avverte: ‘Una breve pausa, poi altri due mesi di guerra’

Sarà la volta buona?
(Keystone)
23 novembre 2023
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Da domani tra Israele e Hamas, per 4 giorni, dovrebbe scendere una tregua scandita dallo scambio di ostaggi israeliani con detenuti palestinesi, in entrambi i casi donne e bambini. Sarà “una breve pausa” nei combattimenti al termine della quale, ha avvertito il ministro della Difesa Yoav Gallant, “si prevedono altri due mesi di guerra”. Già mercoledì l’accordo tra le parti sembrava cosa fatta ma nella notte è improvvisamente calato il gelo e tutto è slittato. Questa invece, dopo 48 giorni di conflitto, sembra essere la volta buona: l’ufficio del premier Benjamin Netanyahu ha fatto sapere di aver ricevuto la lista dei primi 13 rapiti che saranno rilasciati domani e di aver già contattato le famiglie. Lo scambio di prigionieri dovrebbe avvenire attraverso il valico di Rafah tra Gaza e lo Stato ebraico. Sarà il primo di quelli che si susseguiranno nei 4 giorni di cessate al fuoco e che porteranno, in una prima fase, alla liberazione di 50 ostaggi israeliani in cambio di 150 palestinesi. L’obiettivo finale - con uno o più giorni ulteriori di tregua - è quello di 100 rapiti per 300 detenuti: un rapporto di 1 a 3.

Secondo le prime informazioni, ad occuparsi materialmente dello scambio saranno la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa palestinese. Una volta passati nel Sinai egiziano e dopo un primo controllo medico, i 13 ostaggi dovrebbero rientrare in Israele dal valico di Nitzana ed essere affidati ai soldati. Per loro scatteranno tutte le misure di assistenza messe a punto da Israele, da accurate visite sanitarie all’assistenza psicologica. I soldati che prenderanno in consegna donne e bambini hanno precise indicazioni su come comportarsi, soprattutto con i più piccoli, che dovranno essere ovviamente rassicurati dopo lunghe settimane di prigionia. Tutti gli ostaggi – il Qatar che ha gestito le trattative insieme a Usa ed Egitto parla di componenti di stesse famiglie – saranno quindi affidati, a meno che non ci siano casi gravi, a 5 ospedali specializzati prima del ritorno in famiglia e alla normalità.

I detenuti palestinesi – tra i quali non ci sono condannati per reati di omicidio, secondo una delle condizioni imposte da Israele – saranno invece portati nelle loro abitazioni, in larga parte tra Cisgiordania e Gerusalemme est. Nei 300 complessivi candidabili per il rilascio ci sarebbero 33 donne, 123 minorenni e 144 giovani sui 18 anni. Tra questi, 49 sono membri di Hamas, 28 della Jihad islamica, 60 del movimento Fatah del presidente palestinese Abu Mazen e 17 del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.

Nell’accordo anche 300 camion al giorno di aiuti umanitari

Hamas si è impegnata durante la tregua a individuare ostaggi israeliani detenuti da altre fazioni palestinesi, a cominciare dalla Jihad islamica. Da domani inoltre ogni giorno entreranno nella Striscia da Rafah circa 300 camion di aiuti umanitari, carburante compreso, ma gli sfollati al sud non potranno rientrare nelle loro case al nord. Per sei ore poi - secondo quanto prevede l’accordo - Israele sospenderà il volo dei droni di ricognizione sull’enclave palestinese ma i soldati hanno avuto l’ordine di rispondere subito ad ogni violazione della tregua. Evocando altri due mesi di guerra al termine della tregua, Gallant ha spiegato che “la pressione” servirà “per portare indietro altri ostaggi”. Oltre che per sradicare Hamas da tutta Gaza, obiettivo indicato sin dall’inizio da Netanyahu.

Alla vigilia della pausa, sul campo oggi i combattimenti non hanno avuto sosta. Israele ha continuato a colpire i miliziani nel nord della Striscia, soprattutto a Jabalya e Beit Hanun, due roccaforti di Hamas. Fonti mediche locali hanno denunciato proprio a Jabalya la morte di almeno “27 persone in un attacco israeliano su una scuola dell’Onu che ospitava sfollati”, oltre a 93 feriti. I morti a Gaza – secondo le stime del ministero di Hamas che non distingue tra miliziani e civili – sono arrivati a quasi 15mila, di cui 6’150 minorenni e 4mila donne. I feriti sono circa 35mila.

Ministro Anp: ‘Adesso Netanyahu ha cominciato ad ascoltare’

“La guerra finirà presto e Netanyahu otterrà la liberazione di tutti gli ostaggi in vita attraverso il meccanismo degli scambi, raggiungendo in più l’obiettivo di rimuovere Hamas dal governo a Gaza”. È l’analisi di Qaddura Fares, presidente della commissione per gli Affari dei prigionieri palestinesi, intervistato dall’Ansa, a poche ore dall’inizio della tregua nella Striscia. Fares si dice convinto che ai primi quattro o cinque giorni di tregua seguiranno diverse altre fasi in cui “verranno gradualmente rilasciati tutti in breve tempo, perché ora è scattato un precedente di cui terranno conto le famiglie degli altri rapiti che resteranno ancora a Gaza. E la guerra terminerà definitivamente entro un mese. Quando esattamente, bisognerebbe chiederlo a Usa, Russia e Cina”.

“Fin dall’inizio – attacca il ministro in forza al governo dell’Anp nella West Bank – la resistenza ha proposto uno scambio e dopo 47 giorni e oltre quindicimila martiri adesso Netanyahu ha cominciato ad ascoltare: Israele ha bevuto abbastanza del nostro sangue ed era ora che si vedesse un spiraglio”. Secondo Fares, sono tre i motivi che hanno spinto il primo ministro israeliano a cedere: “le pressioni dei familiari, l’intervento politico americano e gli insuccessi militari sul campo, che finora non hanno portato ai risultati sperati da Israele”.

L’esponente di al Fatah annuncia che il suo governo è “disponibile a collaborare per partecipare a un ulteriore rilascio, tutto purché siano liberati i detenuti palestinesi. Per risolvere la questione andrei ovunque”, assicura. E il futuro? Chi governerà la Striscia di Gaza? “Noi siamo pronti a farlo, ma ci saremo solo se c’è l’idea di un progetto per uno Stato palestinese. Quello che vogliamo nei Territori è completare un progetto di sviluppo politico e sociale, per essere pronti ad andare alle elezioni includendo anche la candidatura di Hamas, con cui vogliamo avere un dialogo interno attraverso il processo di stabilizzazione. Una cosa è certa, a Gaza devono esserci solo i palestinesi e non siamo disposti a essere il rimpiazzo dei soldati israeliani”.

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