Estero

La Nobel iraniana in cella inizia lo sciopero della fame

La protesta di Narges Mohammadi contro le condizioni disumane nel famigerato carcere di Evin e l’obbligo di portare il velo

(Keystone)
6 novembre 2023
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Narges Mohammadi, l'attivista iraniana da un mese premio Nobel per la Pace, ha iniziato lo sciopero della fame e non si fermerà fino a che non avrà ottenuto ciò per cui sta lottando dal famigerato carcere iraniano di Evin, a nord di Teheran, dove è reclusa.

Cinquantuno anni, giornalista, attivista per i diritti delle donne, Mohammadi protesta contro le condizioni carcerarie e la mancanza di cure mediche, non solo per lei ma per tutti i detenuti. Ma anche contro l'obbligo di indossare l'hijab: pochi giorni fa le hanno impedito di andare in ospedale perché si è rifiutata di mettere il velo. "La Repubblica islamica è responsabile di tutto ciò che accade alla nostra amata Narges", ha scritto in un comunicato la famiglia, attualmente rifugiata in Francia, spiegando i motivi dello sciopero della fame.

Tredici arresti in 30 anni

Chi la conosce sa che non mollerà. Non lo ha fatto in oltre 30 anni di attivismo che le sono costati 13 arresti, il primo nel 1998 e l'ultimo nel 2021, e cinque condanne, per un totale di 31 anni di carcere da scontare. Ma la preoccupazione per le sue condizioni di salute è tanta, visto che soffre di problemi cardiaci e polmonari che la nuova protesta potrebbero aggravare. "È da una settimana che le rifiutano l'assistenza medica di cui ha bisogno" ha tuonato la presidente del Comitato norvegese per il Nobel della Pace, Berit Reiss-Andersen, definendo l'obbligo di indossare il velo per essere ammesse in ospedale "disumano" e "moralmente inaccettabile".

Condanne sono arrivate anche da organizzazioni per i diritti umani come il Pen International, un gruppo che promuove la libertà di espressione, che ha accusato le autorità iraniane di essere "pienamente responsabili di mettere a rischio" la vita di Mohammadi.

Narges non ha mai smesso di lottare, nemmeno dal carcere. Ha fatto sentire la sua voce anche quando sono scoppiate le proteste per la morte di Mahsa Amini, la 22enne curda deceduta a settembre 2022 mentre era tenuta in custodia dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. La ‘leonessa dell'Iran’, come la chiamano le donne della sua terra, non ha mai ceduto alla pressione della clausura forzata e proprio in occasione dell'anniversario della morte di Mahsa ha sfidato ancora una volta le autorità di Teheran, bruciando il velo nel cortile della prigione di Evin.

Mohammadi è tornata a far sentire la sua voce anche poco tempo fa quando è morta, dopo una lunga agonia in coma, Armita Garavand, la 17enne picchiata dalla polizia nella metropolitana di Teheran perché senza velo: ‘Un nuovo omicidio di Stato" lo aveva definito. Un'accusa, va da sé, respinta da Teheran che teme la vicenda si trasformi in una miccia per nuove proteste al grido di ’Donna, vita, libertà'.

Il velo, ancora una volta, al centro delle rivendicazioni: "Il mezzo di controllo e repressione imposto alla società e dal quale - ha denunciato la premio Nobel - dipende la continuazione e la sopravvivenza di questo regime religioso autoritario". Ma anche lo strumento per combattere il regime: Mohammadi lo sa bene e non lo indosserà nemmeno per salvarsi la vita.

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