Da Ginevra, l’Ong Trial International cerca e denuncia, sulla base del principio della competenza universale, gli autori delle più efferate atrocità
Un ex ministro dell’interno del Gambia e un ex ministro della difesa dell’Algeria presto a processo per crimini contro l’umanità. Un ex vice-presidente siriano ricercato internazionalmente per un massacro avvenuto oltre quarant’anni fa. E alcuni uomini d’affari svizzeri sotto indagine per complicità in crimini di guerra. Dietro a tutte queste inchieste c’è un nome: Trial International, Ong ginevrina in prima linea nello scovare e denunciare i presunti autori di crimini internazionali. Fondatore e anima di questa organizzazione è l’avvocato Philip Grant che ci ha accolto negli uffici dell’organizzazione nel quartiere di Les Charmilles. Ecco l’intervista.
Philip Grant, quest’anno è stato ricordato il cinquantesimo del golpe cileno. Se oggi esiste Trial International è un po’ colpa di Pinochet. Ci può spiegare il perché?
Augusto Pinochet ha avuto un ruolo centrale nella creazione della nostra associazione. Nel 1998 il generale cileno era stato arrestato a Londra, su ordine del procuratore spagnolo Garzon che ne aveva chiesto l’estradizione in quanto stava indagando sui crimini di tortura commessi in Cile durante la dittatura. L’arresto durò diversi mesi e fu un momento cruciale per molti attivisti per i diritti umani: si capì allora che il militantismo coniugato al diritto internazionale poteva diventare uno strumento molto importante per colpire i carnefici del mondo intero. Certo, in questo caso Pinochet fu liberato per motivi di salute e una volta tornato in Cile morì prima di essere giudicato. Ma fu proprio in quel momento che la giustizia internazionale cominciò a muoversi, dopo quasi cinquant’anni di inerzia. Appena ottenuto il mio brevetto di avvocato ho così deciso di creare un’organizzazione con l’idea di riprodurre il precedente Pinochet in Svizzera.
In cosa consiste essenzialmente il vostro lavoro?
Si tratta di usare l'arma della legge e della giurisdizione universale per perseguire torturatori o criminali di guerra che vivono o transitano in Svizzera o in altri Stati che applicano la competenza universale. Nella Confederazione vi è un grande turismo degli affari, del lusso o della salute che fa sì che vi siano molti passaggi di persone “problematiche”. Grazie alle nostre ricerche e ai contatti con le associazioni di altri Paesi siamo spesso informati di questi arrivi. Ecco che allora prepariamo delle denunce penali, raccogliendo prove e ascoltando le testimonianze delle vittime con cui lavoriamo anche nei Paesi d’origine.
Ci può fare qualche esempio dei casi che avete denunciato in Svizzera?
Abbiamo denunciato il generale algerino Khaled Nezzar, arrivato in Svizzera nel 2011 sembra per ragioni mediche: dopo una lunga inchiesta l’uomo è stato di recente rinviato a giudizio dalla Procura federale per crimini di guerra e contro l’umanità. Sempre a seguito di un passaggio a Ginevra, nel 2013 abbiamo denunciato l’ex vice-presidente siriano Rifaat al-Assad. L’uomo è tuttora sotto indagine in Svizzera per il massacro avvenuto nella città di Hama nel 1982. Un altro caso è quello di Ousmane Sonko, ex ministro degli interni del Gambia durante il regime di Yahya Jammeh. Lo abbiamo identificato e denunciato in Svizzera dove si era rifugiato. Il suo dovrebbe essere il prossimo processo in questo ambito al Tribunale Penale Federale (Tpf), con ogni probabilità a inizio 2024.
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Il direttore Philip Grant
Trial International è nata nel 2002. In che contesto eravamo, in Svizzera, dal punto di vista della giurisdizione universale?
In Svizzera, ancor prima dell’arresto di Pinochet, erano già state aperte alcune inchieste per crimini internazionali. Allora era la giustizia militare ad occuparsene. Vi fu la condanna di un cittadino ruandese per la sua partecipazione al genocidio. Un miliziano serbo-bosniaco fu invece assolto. Poi la lotta contro l’impunità si concretizzò a livello internazionale con la creazione di tribunali internazionali per il Ruanda e per la ex Jugoslavia e della Corte penale internazionale (Cpi) nel 2002. Dopo la caduta del muro di Berlino le istituzioni internazionali riguadagnarono credito e la Svizzera, ratificando nel 2001 lo Statuto di Roma della Cpi, volle prendervi parte attraverso le proprie istituzioni giudiziarie.
All’inizio, però, la vostra non fu certo un’impresa facile…
Certo che no. Il quadro legale non era ottimale e le autorità di perseguimento penale elvetiche erano poco consapevoli dei nuovi strumenti del diritto internazionale e del principio della competenza universale. Il nostro primo caso ha riguardato Habib Ammar, ex ministro degli Interni tunisino, venuto a Ginevra per un vertice nel 2003. Abbiamo presentato una denuncia per tortura per conto di una vittima, ma il procuratore ginevrino dell'epoca l'ha respinta. Qualche anno più tardi, depositammo una denuncia nei confronti dell’ex comandante delle forze di polizia guatemalteche Erwin Sperisen, che alcuni volevano perseguire per l'uccisione da parte della polizia di alcuni contadini che occupavano le terre. Anche in quel caso la procura di Ginevra ci ha ripetuto a lungo di non essere un tribunale internazionale e non potere fare nulla.
In questo caso, però, l’inchiesta c‘è stata tanto che Sperisen è stato condannato a quindici anni di prigione. Come mai questo cambio di attitudine?
Ad avere un ruolo decisivo è stato il fatto che Sperisen fosse un cittadino svizzero. Ciò è stato fondamentale perché per il reato di assassinio non vale la giurisdizione universale, a meno che non sia perpetuato nell’ambito di un crimine contro l’umanità. Così, quando le autorità guatemalteche hanno aperto la loro indagine e chiesto l’estradizione di Sperisen, Ginevra ha deciso di aprire un’inchiesta. Non potevano estradare uno svizzero in Guatemala…
Una volta nel vostro mirino era finito George W Bush. Come andò a finire?
Nel 2011, l’ex presidente doveva venire a Ginevra per una conferenza e abbiamo così preparato una denuncia, in collaborazione con delle ONG che lavoravano con le vittime delle torture a Guantanamo. Durante il suo mandato, infatti, il presidente americano aveva autorizzato ufficialmente tecniche di interrogatorio assimilabili alla tortura. La notizia della possibile denuncia in Svizzera, però, uscì sulla stampa e Bush…prese l’influenza.
Una lunga influenza…
Sì, in effetti non è mai rivenuto in Svizzera come previsto. Ciò che dimostra come anche solo evocare una procedura giudiziaria nell’ambito del diritto internazionale possa dare fastidio.
A livello federale, la prima condanna - quella che ha riguardato l’ex comandante ribelle liberiano Alieu Kosiah – è arrivata soltanto di recente. Come si spiega questo ritardo?
Vi è stato un ventennio di traversata nel deserto e la Svizzera in questo ambito non ha certo brillato rispetto ad altri Paesi europei. Nel 2001 sono stati ratificati lo statuto di Roma della Cpi e nel 2011 l’arsenale giuridico elvetico è stato rafforzato. Da allora il Ministero pubblico della Confederazione è tenuto a perseguire attivamente le persone presenti sul suo territorio sospettate di aver commesso crimini di guerra o contro l’umanità. Malgrado ciò si può dire che sotto la guida di Michael Lauber la lotta ai crimini internazionali non è certo stata una priorità. E non è solo l’oggettiva complessità dei casi a spiegare questa lacuna.
Cosa lo spiega? La dimensione politica e diplomatica di diverse indagini?
È difficile dirlo con certezza. Non metto in dubbio lo Stato di diritto e la separazione dei poteri in Svizzera. Ci sono stati dei casi sicuramente molto delicati. L’affare Rifaat al-Assad ha potuto complicare le relazioni con la Siria al punto che – come emerso di recente – l’Ufficio federale di giustizia si è opposto dall'emettere un mandato di cattura internazionale nei confronti dell’ex vice-presidente? Non lo so. Il rischio di compromettere le relazioni con l’Algeria ha fatto sì che – prima di essere sconfessato dal Tpf – l’Mpc decidesse di chiudere il caso Nezzar? Non lo so. Certo è che due esperti delle Nazioni Unite hanno interpellato il Consiglio federale proprio sulla mancanza di volontà politica nell’istruire questo genere di casi.
Una volta avete pure denunciato un’importante raffineria ticinese, nel cui consiglio di amministrazione sedeva anche l’ex consigliere federale Adolf Ogi…
Sì, il caso era molto delicato e riguardava la raffinazione di diverse tonnellate d’oro provenienti dal conflitto in corso nell’Est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). Proprio a seguito della nostra denuncia vi furono delle perquisizioni a Mendrisio e fu aperta un’inchiesta penale per complicità in crimini di guerra. Questa si concluse con un decreto d’abbandono. La procura federale scrisse però che la raffineria avrebbe dovuto sapere che l’oro con grande probabilità proveniva da una zona di guerra.
Non è l’unico caso in cui avete denunciato un attore economico svizzero. È più difficile attaccare una società o un imprenditore elvetico che con un torturatore di uno Stato africano?
Non direi. Anzi, il fatto che un caso riguardi una società elvetica o un cittadino elvetico dovrebbe facilitare l’apertura di un’inchiesta penale. Attualmente vi sono tre procedimenti in corso partiti da una nostra denuncia e che toccano attori economici svizzeri. La constatazione di base è che in una buona parte dei conflitti vi sono delle società o degli uomini d’affari che giocano un ruolo nefasto, soprattutto attraverso il saccheggio delle materie prime. Questo modo di agire alimenta le guerre e crea tutta una serie di situazioni nefaste. Non vi è quindi ragione per fare in modo che anche questi attori siano esenti da un’azione penale in Svizzera o in altri Paesi. In Svezia si è da poco aperto proprio il processo contro due ex dirigenti della società petrolifera Lundin, tra cui un cittadino elvetico, accusati di complicità nei crimini di guerra avvenuti in Sudan.
Dopo il periodo di impasse, negli ultimi mesi sembra esserci stata un'accelerata con l’apertura di alcune inchieste e il rinvio a giudizio di Sonko e Nezzar. Come se lo spiega?
Alcune indagini erano già state aperte prima, ma è certo che con l'arrivo di Stefan Blättler alla guida della Procura federale abbiamo visto un cambiamento. Il procuratore generale ha dichiarato pubblicamente che la lotta all'impunità per i crimini internazionali, e soprattutto la necessità di combattere i saccheggi, sarà uno dei quattro pilastri della sua azione. C’è stato quindi un cambiamento di atteggiamento che sembra essere confrontato con alcuni fatti. Va poi detto che la giurisprudenza è evoluta e il Tpf ha preso delle decisioni importanti, ordinando alla Procura federale di riaprire dei casi che voleva chiudere come l’inchiesta contro il generale Nazzar. Infine va detto che anche a seguito dell’impulso dato dalle atrocità commesse in Siria prima e poi in Ucraina, in Svizzera come altrove ci si sta rendendo conto che il diritto è un’arma non solo per combattere la piccola delinquenza, ma anche contro dei crimini che riguardano la comunità internazionale nel suo complesso.
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Ousman Sonko
Sarà lui il prossimo processato in Svizzera nell’ambito del diritto penale internazionale. L’Mpc ha inviato un atto d’accusa al Tpf lo scorso mese di aprile. L’ex capo dei servizi segreti e poi ministro dell’interno del Gambia dal 2006 al 2016 si era rifugiato in Svizzera dopo la caduta del feroce regime di Yahya Jammeh. Denunciato da Trial nel 2017, l’uomo è arrestato nel Canton Berna. Dopo sei anni d’indagine, basate anche sulle testimonianze di alcune vittime (tra cui la figlia di un politico dell’opposizione morto in carcere dopo aver subito torture), l’uomo è accusato di crimini contro l’umanità.
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Rifa’at Al Assad
L’ex vice-presidente siriano e zio dell’attuale dittatore Bachar al-Assad è ricercato dalla Procura federale. L’uomo è accusato per il massacro avvenuto nella città di Hama nel 1982 nel quale sono state ammazzate decine di migliaia di persone. L’inchiesta è scattata nel 2013 dopo una denuncia di TRIAL venuta a sapere di un passaggio dell’uomo in un hotel di lusso a Ginevra. Interrogato, l’uomo era stato lasciato libero e non si è più presentato alle autorità svizzere. Dopo essere stato condannato in Francia per reati economici, al-Assad (84 anni) sarebbe rifugiato in Siria. L’indagine svizzera continua.
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Khaled Nezzar
L’indagine è scattata nel 2011, dopo una denuncia di Trial e nel momento in cui l’ex Ministro della difesa e generale dell’Algeria resideva in Svizzera. L’Mpc aprì un’inchiesta che volle presto chiudere, additando il fatto che in Algeria non vi era stata una guerra civile. Il Tpf ha accolto i ricorsi di alcune vittime e costretto la procura a continuare l’indagine. A fine agosto 2023, l’MPC ha così promosso l’accusa per crimini contro l’umanità tra il 1992 e il 1994 per le torture inflitte nel contesto di repressione dei movimenti islamisti e di una guerra civile che costò la vita a 200’000 persone.
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Yahia Jammeh
Nel mirino dell’Mpc non vi sono solo carnefici del Sud del mondo. Su denuncia di Trial sono state aperte tre inchieste che riguardano attori economici svizzeri. Una tocca un uomo d'affari elvetico all’epoca attivo nel settore minerario in Congo. Una seconda inchiesta concerne un altro uomo d’affari svizzero, sospettato di aver saccheggiato del legname pregiato in Senegal e di essersi messo in affari con l’ex dittatore gambiano Yahya Jammeh. Infine, un’inchiesta contro ignoti per sospetti crimini di guerra è stata aperta nel contesto del saccheggo di petrolio libico, Contesto dove operava un’impresa di Zugo.
Dw-Belarus News
Yuri Harauski
Il suo processo si è svolto di recente presso un tribunale sangallese. L’uomo, ex membro dell'Unità speciale di intervento rapido del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, era accusato di aver partecipato alla sparizione forzata di tre importanti oppositori politici nel 1999. Il processo fa seguito alle denunce di due parenti delle vittime e di Trial. Sentenza: l’uomo è stato assolto, malgrado le sue confessioni. Il tribunale ha ritenuto che le sue dichiarazioni fossero contraddittorie e che è possibile che le stesse siano state fatte per facilitare la richiesta di asilo in Svizzera. Trial ha annunciato un ricorso.
In Svizzera, l’anno 2023 è stato caratterizzato da tutta una serie di passi in avanti nel campo della giustizia internazionale. Lo scorso mese di giugno, la Corte d’Appello del Tribunale penale federale (Tpf) ha condannato l’ex comandante dei ribelli liberiani dell’Ulimo, Alieu Kosiah, a 20 anni di prigione per crimini contro l’umanità. La sua è la prima condanna in assoluto in Svizzera per questo reato. Quest’estate è stata reso noto il fatto che la Confederazione ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti dell’ex vice presidente siriano Rifaat al-Assad, sotto indagine per il suo presunto ruolo nei massicci crimini di guerra commessi nel febbraio 1982 nella città di Hama. Sempre nel 2023, il Ministero pubblico della Confederazione (Mpc) ha promosso l’accusa per crimini contro l’umanità nei confronti di Ousman Sonko, ex ministro dell’interno del Gambia, e di Khaled Nezzar, ex ministro della difesa e generale algerino. I rispettivi processi dovrebbero tenersi nel 2024.
Questo susseguirsi di notizie in questo campo della giustizia, segna anche simbolicamente un cambio di passo nel modo con il quale la Svizzera persegue i crimini più afferrati. Nella Confederazione, la lotta a questi reati è possibile dal 2001, da quando cioè è stato ratificato lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale (Cpi). Da allora la Svizzera può perseguire gli autori di crimini internazionali presenti sul suo territorio. Indipendentemente dal luogo del crimine e dalla nazionalità dell’autore e delle vittime. Di norma, è la Procura federale ad occuparsi di questi casi, essendo competente per i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra e i genocidi. Per anni, però, è successo poco: sotto la guida del Procuratore generale Michael Lauber la lotta a questo genere di reati, difficili da appurare e politicamente scomodi, non è certo stata una priorità. Emblematico il caso che riguarda Rifaat a-Assad, zio del dittatore siriano Bachar al-Assad. L’inchiesta, scattata nel 2013, è andata avanti a rilento. Nel 2015, la procuratrice incaricata del caso Assad – Laurence Boillat – è stata liquidata da Michael Lauber che le ha rinfacciato “una mancanza di visione strategica” proprio per la sua volontà di voler perseguire l’ex alto militare siriano. Soltanto nel dicembre del 2021, una volta dimessosi Lauber, l’Mpc ha infine emesso – in contrasto con l’Ufficio federale di giustizia - un mandato d’arresto internazionale nei confronti del “macellaio di Hama”. Quest’ultimo, però, era appena fuggito dalla Francia, dove aveva vissuto fino a quel momento e dove era stato condannato a quattro anni di reclusione per vari reati economici.
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Il procuratore generale Stefan Blättler
Per istruire il primo processo di questo tipo, si è dovuto così aspettare vent’anni. L’”onore” è toccato al liberiano Alieu Kosiah, poi riconosciuto colpevole per crimini contro l’umanità e il cui processo è stato possibile grazie all’operato dell’Ong ginevrina Civitas Maxima. Come detto, altri fatti sono successi in questo 2023. Passi in avanti che non sono frutto del caso. A differenza del suo predecessore, l’attuale procuratore generale Stefan Blättler ha messo la lotta a questi crimini internazionali al centro della sua agenda. Casi che sembravano dimenticati, come quello che riguarda il generale Nezzar hanno così ripreso vigore. Nel suo rapporto di gestione 2022, la Procura federale indica una quindicina di inchieste in corso. Tra queste vi sono quella che riguarda Rifaat al-Assad o quella che cerca di stabilire i responsabili dell’omicidio, nel 1990 nel Canton Vaud, dell’oppositore iraniano Kazem Rajavi. Altre inchieste concernono persino degli attori economici svizzeri implicati in casi di saccheggio di materie prime in Africa.
A lungo criticata dalle Ong come Trial International o Civitas Maxima per la sua inerzia e la sua lentezza, la Confederazione sembra oggi voler perseguire con maggiore volontà questo tipo di reati. L’obiettivo è chiaro: evitare che la Svizzera, così come lo è stata per i soldi sporchi, continui a essere un luogo di villeggiatura privilegiato anche per i carnefici di mezzo mondo.