laR+ la tattica di hamas

Il triplice inganno che ha sorpreso Israele

Oltre 2’500 missili per confondere il sistema di difesa aereo e un’invasione via terra da ogni valico hanno messo in crisi la comunicazione tra i soldati

Palestinesi sopra una jeep militare israeliana nella Striscia di Gaza
(Keystone)
11 ottobre 2023
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È il quinto giorno dall’avvio della così detta operazione Tempesta di al-Aqsa, lanciata da Hamas lo scorso 7 ottobre. Con questi attacchi, il movimento che governa la Striscia di Gaza ha commesso crimini che segneranno il futuro del conflitto israelo-palestinese. Centinaia di militanti sono entrati all’alba dello scorso sabato in territorio israeliano, hanno aperto il fuoco indiscriminatamente, ucciso e ferito civili, rapito oltre cento persone, inclusi bambini, donne e anziani per usarli come pedine di scambio.

L’anniversario della guerra

L’attacco è avvenuto nel 50esimo anniversario della Guerra dello Yom Kippur, iniziata il 6 ottobre 1973. In quella occasione, una coalizione di Stati arabi, guidata da Egitto e Siria, mostrò al mondo di poter colpire Israele lanciando un’offensiva a sorpresa nei territori occupati dopo la Guerra dei 6 giorni (1967). Ma come è possibile che militanti indeboliti da anni di assedio di Gaza e dai continui raid, dall’operazione Guardiano delle mura (2021) a Margine protettivo (2014), siano riusciti a ingannare l’esercito israeliano?


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Un tank israeliano durante la Guerra dello Yom Kippur nel 1973

Barriera inadeguata

L’attacco con i primi 2’500 mila razzi partiti da Gaza, e con l’uso di droni, è avvenuto all’alba di una giornata festiva. L’impenetrabile barriera tra Israele e la Striscia si è dimostrata inadeguata. La quantità di missili lanciati da Hamas, nel più sofisticato attacco che il movimento abbia orchestrato contro Israele negli ultimi anni, ha spiazzato e confuso il costosissimo sistema di Difesa israeliano. Mentre le sirene di allarme iniziavano a suonare a Tel Aviv (60 km da Gaza), i combattenti delle forze speciali, Nukhba, di Hamas si preparavano a oltrepassare il muro che tiene sotto assedio Gaza, dopo il ritiro unilaterale deciso dall’esercito israeliano nel 2005.

Le falle dell’“impenetrabile” Erez

Il primo a essere stato superato, come mostrano le foto condivise su Telegram da Hamas, è stato il valico meridionale di Kerem Shalom, dove due soldati israeliani sono stati uccisi. Lo stesso è avvenuto 43 km più a Nord a Erez, dopo un’esplosione che ha segnalato agli altri militanti di Hamas l’inizio dell’operazione. Erez è il simbolo del controllo che Israele, tra sicurezza, comunicazione e sorveglianza, ha imposto alla Striscia con un labirinto di stanze, piene di telecamere, sensori, scanner high-tech, altoparlanti e doppie porte.

In poche ore i palestinesi sono entrati lungo tutta la barriera, costata miliardi di dollari, tra Gaza e Israele, con sette valichi di cui uno, Rafah, controllato dall’Egitto e chiuso anche per i feriti da trasportare al Cairo. Almeno 400 militanti di Hamas, con motociclette, pick-up, ruspe e 4x4, hanno potuto penetrare il territorio israeliano da 27 diverse località, la più lontana è la città di Ofakim, a ben 22 km da Gaza. Altri combattenti di Hamas hanno girato indisturbati per le strade di Sderot, Ashkelon e il kibbutz di Be’eri, mentre l’attacco più sanguinario è stato portato al festival Supernova di Re’im dove spari sono arrivati da furgoni sui partecipanti al rave. Contemporaneamente sono state assaltate varie basi militari, tra cui Zikim e Re’im.


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Soldati israeliani cercano riparo durante un lancio di missili

Velocità e organizzazione

E così lo scopo dell’attacco è stato di mettere in crisi la capacità di comunicazione tra le forze di sicurezza israeliane. Tutto questo è avvenuto con una velocità e un’organizzazione che hanno sorpreso la difesa di Tel Aviv. È possibile che Hamas abbia impiegato mesi per raccogliere informazioni di intelligence per identificare le vulnerabilità del sistema di difesa israeliano, quali aree erano davvero monitorate e quali meno, come muoversi liberamente dopo aver superato la barriera di sicurezza. “Solo un piccolo gruppo di comandanti di Hamas sapeva dell’attacco”, ha dichiarato all’Associated Press, Ali Barakeh, esponente di Hamas in esilio.

La finta crisi di Hamas

In realtà, il movimento stava dando l’impressione di essere in una fase di estrema crisi, incapace di combattere contro Israele. In questo modo è riuscito a prendere alla sprovvista le forze di sicurezza israeliane che hanno reagito in ritardo con l’arrivo dell’unità Shaldag al confine e poi a Be’eri un’ora e mezza dopo l’inizio dell’attacco, come ammesso da alcuni militari israeliani. D’altra parte, per mesi dall’inizio dell’anno, sono andate avanti proteste anti-governative di massa, contro la riforma della giustizia, voluta dal premier Benjamin Netanyahu, che hanno mostrato le divisioni che attraversano la società israeliana.

E così, il raid palestinese, costato la vita ad almeno 900 israeliani, ha dato mano libera all’esercito di Tel Aviv, che ha richiamato 300 mila riservisti, per lanciare l’operazione Spade di ferro. Uno degli attacchi più violenti nella storia recente contro Gaza, ha causato finora almeno 700 morti, incluse donne, bambini e anziani, 200 mila sfollati interni, oltre mille miliziani di Hamas uccisi mentre Israele ha annunciato il “pieno controllo” del confine. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, in un intervento molto criticato, ha assicurato di aver ordinato l’“assedio completo” di Gaza che potrebbe essere teatro di un’invasione di terra. “Non ci sarà elettricità, cibo, benzina, tutto sarà chiuso”, ha detto Gallant. E ha aggiunto con toni sprezzanti: “Stiamo combattendo animali umani”. Dichiarazioni incendiarie che non faranno altro che esacerbare il conflitto. Come spiega in una nota il think tank B’Tselem, “gli attacchi intenzionali contro i civili sono proibiti e inaccettabili sia se sono commessi definendoli come una guerra di liberazione dall’oppressione sia se sono parte di una guerra contro il terrorismo”.


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La cattura di un civile israeliano

Paletinesi più isolati

Rispetto al 1973, i palestinesi sono molto più isolati nella regione, con l’Egitto, appiattito su posizioni pro-israeliane e che, nonostante le smentite, avrebbe avvisato Netanyahu della possibilità di un attacco. Ma anche nel mondo, con l’Ue, pronta, tra le polemiche, a una revisione degli aiuti ai palestinesi. Il conflitto è diventato così sempre di più una guerra di prossimità, marginale rispetto alle guerre che dilaniano il Medio Oriente, come in Siria.

Di certo, la strategia di normalizzazione tra Israele e i Paesi del Golfo, così come tra Tel Aviv e Riyadh, con la mediazione degli Stati Uniti, in cambio di un accordo di difesa tra Washington e Arabia Saudita, da una parte, potrebbe frenare il riavvicinamento tra sauditi e iraniani, accusati di aver armato Hamas e Hezbollah in Libano, dall’altra, ha esasperato ancora di più gli animi tra i palestinesi che temono di essere completamente cancellati con la firma dell’intesa.

Quei raid provocatori

Non solo, i continui attacchi allo status quo alla moschea di al-Aqsa, luogo di preghiera per i musulmani e di visita per i non-musulmani, con i raid della polizia israeliana, hanno di sicuro contribuito all’avvio di una delle guerre più sanguinose di un conflitto che va avanti da quasi ottant’anni.


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I primi razzi lanciati da Gaza il 7 ottobre

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