Estero

Un digiuno che scuote la giustizia italiana

Il caso dell’anarchico Cospito investe il sistema detentivo

(Keystone)
17 febbraio 2023
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In attesa del 24 febbraio – giorno in cui la Corte di Cassazione si riunirà per decidere sul ricorso di Alfredo Cospito contro il regime del 41bis – continuano le polemiche attorno al 55enne anarchico in sciopero della fame dal 19 ottobre. C’è chi, soprattutto nella destra meloniana, ritiene che il carcere duro in totale isolamento ben si attagli a chi ha gambizzato un dirigente d’azienda e compiuto un attentato dinamitardo (fortunatamente senza vittime) a una scuola dei Carabinieri; così come crede che sia giusto, riconosciuta l’aggravante di strage politica, commutare gli attuali vent’anni di pena in ergastolo ostativo (il "fine pena mai", senza alcuno sconto o accesso a misure alternative). Altri – a sinistra, ma anche tra i ‘garantisti’ di destra – ricordano che la priorità costituzionale del carcere è riabilitare, non vendicarsi, e ritengono degradante tale trattamento.

Intanto Cospito ha perso 47 chili, passando da 118 a 71, ed è ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo di Milano. Proteste (e minacce a funzionari e giornalisti) si stanno ripetendo un po’ in tutta Italia. Ma la questione, oltre al caso specifico, investe un sistema penale e carcerario già sanzionato più volte in Europa, perché giudicato inadeguato e irrispettoso dei diritti umani.

Il motivo principale del contendere riguarda proprio il 41bis, che in presenza di "gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica" prevede l’isolamento continuo, la limitazione dell’ora d’aria, un solo colloquio al mese esclusivamente coi familiari più stretti, il controllo della posta, la privazione di giornali e libri. Si tratta di un regime normalmente utilizzato per i mafiosi, onde evitare che comunichino con le loro organizzazioni di riferimento all’esterno. Se per Cospito un tale scenario appare improbabile – la Federazione anarchica informale nella quale si riconosce è composta da piccoli gruppi dispersi sul territorio e autoorganizzati, non da una ‘cupola’ mafiosa –, la sua protesta rimette in discussione la legittimità più generale del 41bis, talmente duro che secondo molti farebbe a pugni con la Costituzione italiana. Costituzione scritta da persone che le carceri le videro da dentro, ai tempi del fascismo, e per la quale "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

La Corte Costituzionale – chiamata appunto a decidere della compatibilità tra le singole leggi e la carta fondamentale – non ha mai definitivamente affossato il 41bis, ma ne ha spesso contestato gli eccessi di applicazione (la stessa ragione che ha portato a condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo). Quanto invece all’ergastolo ostativo, un’altra misura originariamente pensata per la lotta alla mafia, è stata la stessa Corte a dichiararne l’incostituzionalità: la norma è in attesa di revisione da parte del Parlamento, ma il governo di Giorgia Meloni resta fedele a un approccio da ‘pugno duro’ un po’ su tutte le questioni penali.

Negli ultimi giorni le condizioni di salute di Cospito paiono migliorate, ma il detenuto rimane ricoverato a Milano. Intanto però – tra fughe di intercettazioni e relativi sottosegretari indagati, proiettili nelle buste e "se lo merita" – il confronto sulla questione pare aver perso molto del suo senso primario, lo stesso sollecitato dal protagonista e riassumibile con le parole di Fedor Dostoevskij: "Il grado di civilizzazione di una società si può misurare entrando nelle sue prigioni".

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