Estero

Al via Ramadan per più di un miliardo e mezzo di musulmani

Il mese islamico del digiuno si concluderà il 2 maggio prossimo. È uno dei cinque pilastri dell’Islam ed è considerato uno dei doveri di ogni fedele

(Keystone)

Dopo le restrizioni imposte dalla pandemia, le insicurezze e le tensioni causate dalla guerra in Ucraina dominano in Medio Oriente gli animi di centinaia di milioni di musulmani che si apprestano dal tramonto a iniziare il Ramadan, il mese islamico del digiuno che si concluderà il 2 maggio prossimo e che coinvolge in tutto il mondo più di un miliardo e mezzo di fedeli.

In tutto il Medio Oriente giungono gli echi della guerra in Ucraina, con le sue ripercussioni politiche e, soprattutto, economiche.

Il Ramadan è uno dei cinque pilastri dell’Islam ed è considerato uno dei doveri di ogni fedele, chiamato a digiunare dall’alba al tramonto per poi interrompere, con l’iftar (rottura del digiuno), l’astinenza nelle ore notturne.

In origine periodo di espiazione e purificazione, il Ramadan è tradizionalmente un mese di incontri tra familiari e amici, ritrovi conviviali, cene interminabili e maratone non stop sui divani, di fronte alle sempre più numerose serie tv proposte dalle varie piattaforme televisive.

Ma più di altri anni il Ramadan quest’anno è vissuto all’ombra di un pervasivo senso di precarietà economica, di insicurezza alimentare, di timori di nuove tensioni e conflitti sociali.

Si guarda ai musulmani ucraini – solo l’uno per cento di una popolazione in larga parte cristiana – in fuga all’estero o rimasti intrappolati nelle violenze armate nel loro paese. Si guarda alle decine di migliaia di musulmani di altre nazionalità che lavoravano in Ucraina e che sono dovuti tornare in patria, come il caso di 20mila turchi tornati a celebrare il Ramadan con le loro famiglie nelle città di origine, ma rimasti senza lavoro.

Una sofferenza assai maggiore quella che colpisce milioni di musulmani siriani e yemeniti, da anni alle prese con i rispettivi conflitti armati e afflitti dagli effetti di quelle che l’Onu ha definito le peggiori crisi umanitarie del pianeta, con la stragrande maggioranza delle popolazioni in stato di povertà e di urgenti bisogni umanitari.

Sarà un Ramadan ad alta tensione per tutti i musulmani palestinesi a Gerusalemme, terza città santa dell’Islam, ma anche dentro e fuori la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, alla luce dell’inasprirsi degli attacchi registratisi negli ultimi dieci giorni in Israele e delle contromisure di sicurezza adottate in queste ore dallo Stato ebraico.

Con le eccellenti eccezioni dei musulmani che vivono in condizioni agiate – se non di lusso – per lo più nei paesi del Golfo come Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita, a soffrire particolarmente appare la classe media dei paesi mediorientali non direttamente colpiti dalle guerre ma investiti dalle onde lunghe della crisi e dalle conseguenze commerciali della guerra in Ucraina.

In Egitto la moneta locale ha perso il 14% del suo valore in solo un mese e si teme per le scorte di cereali e degli olii provenienti dai Paesi del Mar Nero. Una preoccupazione condivisa non solo da libanesi e siriani, ma anche da decine di milioni di giordani e iracheni, in maniera diversa alle prese con crisi finanziarie senza precedenti e con la crescente penuria di servizi essenziali.

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