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La riforma approvata per sbaglio. E con l’aiuto da casa

Solo un errore di Alberto Casero, deputato dei popolari che votava da remoto, ha permesso al governo Sánchez di far passare la nuova legge sul lavoro

Alberto Casero, un voto decisivo (Creative Commons)
4 febbraio 2022
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Uno vale tutto.

Tutto, in questo caso, è la tribolatissima riforma del lavoro votata giovedì sera dal Parlamento spagnolo e passata per 175 voti a 174. Uno è Alberto Casero, deputato del più grande partito d’opposizione, il Partido Popular (Pp), che voleva solo fare il suo, di lavoro, ma non gli è riuscito granché bene, votando al contrario e scatenando una gazzarra politica di cui, per ora, non s’intravede la fine, tra accuse incrociate ed espliciti richiami a brogli storici talmente grossi da avere un nome tutto loro: “Pucherazo”.

Casero, che al momento è malato, aveva chiesto e ottenuto di seguire il dibattito e poi votare da casa, ignaro di quel che sarebbe successo di lì a poco, della notorietà improvvisa che gli sarebbe cascata addosso, o meglio, in cui è inciampato: lui, deputato di seconda fascia, finito al centro della contesa a tal punto che da ieri, in Spagna si moltiplicano gli articoli intitolati “Chi è Alberto Casero” (43 anni, un volto come tanti, occhiali, stempiatura e doppio mento, single dell’Extremadura con una laurea in giurisprudenza e una lunga militanza nel Pp). Insomma un signor nessuno il cui voto all’improvviso vale tutto, perché per spostare l’equilibrio, che sembrava sottile, stavolta bastava una piuma.

Le grandi manovre

Da giorni in Parlamento erano iniziate le grandi manovre del suo partito per affossare una legge che - se bocciata - avrebbe potuto inguaiare il governo guidato dal socialista Pedro Sánchez. Richiesta a gran voce da Bruxelles, vincolata a 12 miliardi di euro del Recovery Fund e capace di spaccare pezzi di maggioranza, la riforma del lavoro era considerata un passaggio-chiave della vita politica nazionale: il suo obiettivo era (è) intervenire su disoccupazione e precariato, limitare il ricorso ai contratti a tempo determinato, ridimensionare la pratica selvaggia del subappalto e rivalutare il ruolo dei sindacati tramite la contrattazione collettiva.


Pedro Sanchez chiacchiera durante il voto (Keystone)

Dopo mesi di colloqui con le parti sociali per mettere a punto la riforma, Sánchez e i suoi si erano presentati in aula con la convinzione dichiarata di avere numeri sufficienti: non potevano contare su due alleati abituali – i nazionalisti del Pnv e gli indipendentisti catalani di Esquerra Republicana, contrari alla legge –, ma quelle assenze venivano controbilanciate dagli appoggi dei liberali di Ciudadanos e di una piccola, ma decisiva (o almeno così si credeva) truppa di partiti regionali. “Questa è la legge più importante della legislatura”, aveva detto la ministra del Lavoro Yolanda Díaz prima del voto, sicura che la coalizione di governo – seppur azzoppata – avesse abbastanza fiato da arrivare al traguardo.

Chi ha tradito chi

Al momento decisivo, però, i due deputati dell’Unione del Popolo della Navarra, da cui si attendeva un voto affermativo su indicazione della loro direzione, hanno fatto di testa loro, tradendo Sánchez e i suoi. Senza quei due “sì” i conti erano presto fatti: 174 per la maggioranza, 175 per chi voleva affossarla. Anche la presidente del Congresso, Meritxell Batet, aveva inizialmente annunciato che la legge era stata bocciata per poi correggersi alcuni istanti dopo. Nel giro di pochi secondi le esultanze dai banchi dell’opposizione e i volti sconcertati tra quelli della maggioranza si sono invertiti.

Lì però entra in gioco Casero, che da casa aveva sbagliato a votare mandando tutto in tilt: da 174-175 a 175-174. Quando si accorge dell’errore è troppo tardi. Chiede di far annullare il suo “sì” e di rivotare, contatta i compagni di partito e infine si reca di persona in aula per votare di nuovo, ma Batet prova a impedirglielo: è contro il regolamento. Lui lo fa lo stesso, ma il suo “sì” ormai è registrato e tale deve rimanere.


La ministra del Lavoro Yolanda Diaz prima del voto in aula (Keystone)

Casero e i popolari provano a dare la colpa al sistema informatico, ma dopo i controlli dei tecnici risulta tutto in ordine: l’errore è umano, non delle macchine. Da quel momento parte la baraonda. Da una parte il governo a difendere con i denti una sconfitta vittoriosa gettando fango sui traditori della Navarra e su chi li avrebbe convinti con mezzi poco leciti (“Ci piacerebbe sapere quanto ha pagato il Pp”, ha detto la vicesegretaria nazionale del Psoe, Adriana Lastra). Dall’altra i popolari convinti che un software compiacente sia stato messo al servizio del governo: (“Non si può tollerare che le istituzioni siano subordinate ai desideri dei socialisti”, le parole di Pablo Casado, presidente del Pp).

Il "Pucherazo”

L’opposizione minaccia azioni legali e tira fuori dai libri di storia il “Pucherazo”, ovvero il modo truffaldino con cui la Spagna della Restaurazione borbonica teneva in piedi il Paese, a cavallo tra Ottocento e Novecento, con il ‘turnismo’, ovvero lasciando la vittoria, a turno, una volta ai liberali e una volta ai conservatori. Se la votazione andava bene, bene, sennò c’era sempre un pentolone (il “puchero”, appunto) pieno di schede da far saltar fuori al momento giusto per cucinare il voto nella maniera desiderata.

Di elezioni decise per un voto, più o meno oscuro, ce ne sono state molte, ad ogni latitudine. Tra le tante è bene ricordarne una, datata 2008, nello Stato del Rajasthan, India nord-occidentale: lì lo scarto di un voto non uscì tra qualche centinaia di schede, come a Madrid, ma tra decine di migliaia. Kalyan Singh Chouhan prese 62’216 preferenze contro le 62’215 di tale C.P. Joshi. La beffa per Joshi fu doppia: la moglie dell’avversario andò a votare due volte, ma il suo ricorso accolto dall’alta Corte è stato poi ribaltato dalla Corte Suprema, che ha lasciato le cose come stavano. Quel che è peggio è che la moglie, la madre e l’autista personale di Joshi non erano andati a votare.

Come dimostra oggi il caso Casero, in politica meglio diffidare dell’aiuto da casa.


C. P. Joshi, un candidato poco aiutato dai familiari (Wikipedia)

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