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BoJo the Clown, le mille vite di un bugiardo seriale

Boris Johnson a rischio dimissioni dopo il party organizzato durante il lockdown. Ma nessuno è riuscito a rinascere da gaffe e bugie come lui

Boris Johnson alle prese con una vuvuzela sudafricana (Keystone)
13 gennaio 2022
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Gli amici, che sono sempre meno, lo chiamano BoJo. I nemici lo chiamano BoJo the Clown, storpiatura del nome di uno dei pagliacci più celebri e amati della tv anglosassone: Bozo the Clown. Boris Johnson con le sue gaffe e le sue smargiassate però non fa più ridere nessuno, compagni di partito compresi, dopo l’ultima bugia smascherata dai media, un party a Downing Street con centinaia di invitati nel maggio 2020, nel periodo più duro della pandemia, in cui i britannici erano confinati in casa ed era vietato incontrare i parenti più stretti e perfino assistere in ospedali i propri cari malati.

Johnson, inchiodato dai fatti e dalle testimonianze, non ha potuto continuare a mentire durante il Question time in Parlamento, preso d’assalto dalle domande dei suoi oppositori, ma ha cercato di giustificarsi. L’esperienza in questo senso non gli manca: bugie-scuse forzate-resurrezione sono i tre tempi che scandiscono ciclicamente la storia della sua vita, con spesso la dimenticanza delle scuse. Questa volta a mancare potrebbe essere il gran finale: la resurrezione. Ma mai direi mai con un uomo che, con tutto quel che ha combinato, non dovrebbe più essere dov’è da un pezzo.

La faccia tosta non gli è mai mancata, e - figlio di una famiglia benestante e piena di ottimi agganci sociali e politici - nemmeno la protezione, due requisiti fondamentali per farsi largo nell’iperclassista società inglese di cui è uno dei prodotti più sfacciati e insieme atipici. Perché certe battute, certe sconcezze si dicono casomai dietro le porte chiuse di un club per soli uomini e non in pubblico. Lui se ne frega. Se ne frega da sempre, sin da quando, studente dell’elitario college di Eton appiccicava alle colonne i testi delle recite per non fare la fatica di imparare le battute a memoria. Un attore anche oggi che calca altri palcoscenici, o meglio un guitto, uno che trova sempre un modo di sfangarla, un Paperino combinaguai che a un passo dal baratro riesce sempre a trasformarsi in Gastone.


I giornali inglesi dopo il Question Time in Parlamento (Keystone)

A 23 anni Johnson salta la fila - sempre via altolocate amicizie - ed è redattore del Times, l’Eton dei giornali britannici, ma durerà poco, silurato dal direttore dell’epoca per essersi inventato una dichiarazione di tal Colin Lucas, storico di nota fama: la frase extra gli serviva per abbellire una storia di reperti ritrovati appartenuti al re Edoardo II. E dire che gli sarebbe bastato chiedere, visto che lo storico era il suo padrino di battesimo.

Prima figuraccia nazionale e prima resurrezione immediata, visto che poco dopo viene assunto al Daily Telegraph dell’amico Max Hastings, suo compagno di università a Oxford. Nel giro di un anno è il corrispondente da Bruxelles, il più amato dall’establishment conservatore e perfino - si dice - da Margareth Thatcher in persona: nei suoi articoli si cercava sempre di mettere in ridicolo l’Europa prendendo a pretesto storie mai del tutto vere che passavano dalla misurazione millimetrica delle banane comunitarie allo spauracchio della scomparsa per via burocratica delle salsicce britanniche, orgoglio nazionale. La Vecchia Inghilterra che dava le carte e si beveva le sue panzane s’indignava per quel che scriveva, puntando il dito contro Bruxelles brutta e cattiva, l’Inghilterra sculacciata da Thatcher, quella che non si poteva nemmeno sedere al tavolo s’indignava per quel che scriveva, puntando il dito contro di lui, che liquidava il tutto con una scrollata di spalle.

Diventato editorialista dello Spectator fece in tempo a far arrabbiare tutta l’Africa, proponendo un ritorno delle colonie, e tutti i tifosi di calcio dando degli ubriaconi ai 96 morti della strage di Hillsborough, quando - si scoprirà più avanti - che furono la negligenza della polizia e i permessi dati a un impianto fatiscente a generare il disastro. In quegli anni Johnson, sposato, intrattenne una relazione clandestina con la collega Petronella Wyatt: quando la storia divenne di dominio pubblico lui negò tutto, compreso un aborto poi confermato dalla madre di Wyatt.


Mani nei capelli per Johnson (Keystone)

Nonostante, o forse proprio per via della sua propensione alla bugia, Johnson conquista un seggio in Parlamento tra i conservatori e poi la poltrona di sindaco di Londra, incrociando - senza meriti - il momento d’oro dell’Olimpiade 2012. La sua zazzera bionda da monello cresciuto a cui si perdona tutto diventa il suo tratto distintivo, un modo per mascherare un’inadeguatezza che i suoi sostenitori definiscono rottura dei codici del politicamente corretto: e così seguono gaffe su gaffe e veri propri incidenti diplomatici: la Papua Nuova Guinea definita luogo di “orge di cannibali”, l’Africa scambiata per un Paese e non per un continente (con oltre 50 Paesi), gli insulti in rima a sfondo sessuale (che coinvolgevano una capra) al turco Erdogan, i discorsi sul whisky nel tempio dei sikh, notoriamente astemi, le donne musulmane paragonate - per via del velo - a buche delle lettere e rapinatori di banca, Obama col dente avvelenato con l’Impero britannico perché “mezzo kenyota”. La lista delle gaffe è infinita, quella delle bugie (tantissime, quasi giornaliere ai tempi della Brexit) pure, quella delle scuse meno. Prendete un argomento controverso a caso: droghe, tradimenti, figli illegittimi, Covid, sostegni economici illeciti, spreco di denaro pubblico. Lui ne ha parlato, ha mentito, ed è infine riuscito a farsi perdonare e tornare in sella.

Mentre cresce il numero di parlamentari che ne vuole la testa dopo le bugie del partygate, il suo gabinetto fa quadrato, eccetto per Rishi Shunak, che si smarca. Dicono possa essere lui l’erede di Johnson. Oggi è ministro delle Finanze, che in Inghilterra ha un nome roboante e antico: Cancelliere dello Scacchiere. Suona come una cosa seria, il contrario di BoJo the Clown.

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