Pene fino ai 13 anni per i giovanissimi imputati, colpevoli di aver accoltellato un coetaneo lo scorso gennaio dopo una lite sui social
Condanne esemplari, lacrime e qualche recriminazione contro l’irresponsabilità imputata ai grandi monopolisti dei social media. Si è chiuso così oggi il processo a carico di tre adolescenti – due ragazzi e una ragazza di 14 anni – accusati nel Regno Unito di aver architettato ed eseguito mesi fa l’uccisione spietata di un quasi coetaneo: il 13enne Olly Stephens, accoltellato nel gennaio scorso a morte dopo una lite inizialmente virtuale innescatasi online.
La ragazza è stata condannata a 3 anni e 2 mesi di detenzione in una struttura minorile per aver attirato Olly in una trappola ordita con i due complici. Questi ultimi si sono visti infliggere 13 e 12 anni sotto custodia dopo essere stati riconosciuti come autori materiali dell’agguato.
La vicenda, che ha inorridito il Paese sullo sfondo degli episodi di violenza giovanile e di uccisioni all’arma bianca moltiplicatisi negli ultimi anni, si è consumata a Reading, nella contea del Berkshire, una delle aree più bucoliche, residenziali e a più alta densità di residenti benestanti del Sud dell’Inghilterra, dove il corpo martoriato della vittima fu ritrovato a inizio anno in un campo dalla polizia dopo l’allarme sulla sua scomparsa.
Secondo la ricostruzione fatta in udienza, anche sulla base di immagini e messaggi scambiati in quei giorni fatali dai giovanissimi imputati, Olly fu di fatto condannato a morte per “aver fatto la spia”. Per il sospetto che fosse stato lui a informare delle bravate del terzetto il fratello maggiore d’un altro tredicenne preso in giro e bullizzato anonimamente attraverso i social. I nomi dei condannati restano coperti dal rigorosissimo riserbo imposto anche ai media britannici dalla legge che tutela i minorenni. A mostrarsi in pubblico dopo il verdetto sono stati invece i genitori di Olly, per raccontare di un ricordo “d’orrore” e di una sofferenza che non si cancellano, dell’impossibilità di alleviare il dolore con qualunque manifestazione della giustizia. Ma anche per denunciare i padroni del vapore dei social media, che nelle parole di papà Stuart avrebbero “molto di cui rispondere sull’enorme parte giocata nella morte di Olly”.