Si ferma per ora all'annuncio di nuove sanzioni economiche nei confronti di Teheran la risposta degli Stati Uniti al contenuto e mirato raid missilistico iraniano
Lunedì, tre giorni dopo l’uccisione con un missile statunitense del capo delle forze speciali delle Guardie rivoluzionarie iraniane Qassem Soleimani nella capitale irachena, il Consiglio supremo di sicurezza iraniano aveva ventilato 13 possibili obiettivi per la rappresaglia di Teheran. «E anche il più debole di questi sarà un incubo storico per gli Usa», aveva ammonito il suo segretario Ali Shamkhani. La prima (l’ultima, anche?) risposta della Repubblica islamica c’è stata stamattina. Una ritorsione contenuta, mirata, addirittura anticipata dagli stessi iraniani agli iracheni, che a loro volta hanno potuto avvertire il Pentagono. Nulla a che vedere con “un incubo storico”, insomma. Tant’è vero che il presidente americano Donald Trump, pur annunciando l’inasprimento delle sanzioni economiche nei confronti di Teheran e sfoggiando la solita muscolosa retorica di prammatica, ha gettato acqua sul fuoco. «L’Iran sembra indietreggiare», ha detto parlando alla nazione dalla Casa Bianca.
L’offensiva missilistica – una trentina i lanci su due basi Usa in cui si trovano anche altri soldati della coalizione anti-Isis– si è conclusa con pochi danni e nessuna vittima. La linea rossa non è stata valicata. Proprio come sperava l’inquilino della Casa Bianca che, tirando un sospiro di sollievo, ha escluso in questa fase ogni tipo di escalation militare. È arrivato solo l’annuncio di nuove sanzioni contro Teheran, fatto dal presidente in diretta tv. Anche se Trump ha ribadito: «tutte le opzioni restano sul tavolo».
L’ayatollah Ali Khamenei e il presidente Hassan Rohani hanno parlato di «schiaffo agli Usa». L’operazione ‘Soleimani Martire’, però, sembra finora più un’azione dimostrativa e propagandistica che altro. Da Khamenei al ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif, le dichiarazioni che da Teheran l’hanno accompagnata alternano il registro bellicoso a toni distensivi. Le agenzie di stampa iraniane continuano a parlare di decine di morti e delle distruzioni provocate dagli attacchi. È apparsa chiara invece l’intenzione dei vertici della Repubblica islamica di non versare per ora sangue americano e di non voler fomentare le tensioni.
Fonti irachene hanno detto di essere state avvisate in anticipo dagli iraniani dell’imminente attacco. A loro volta avrebbero dunque messo in allarme gli americani, permettendo loro di mettersi al riparo. Fonti Usa citate dalla Cnn ipotizzano che i Pasdaran abbiano mancato volontariamente i loro bersagli. Il vero obiettivo della pioggia di missili sarebbe dunque stato piuttosto di placare l’ira della piazza per l’uccisione di Soleimani e di mettere in guardia gli Usa sulla capacità dell’Iran di colpire con durezza, se davvero lo volesse. Non è escluso che l’esito incruento dell’operazione sia stato reso possibile da accordi diretti fra Usa e Iran.
Zarif ha fatto sapere di aver mandato un messaggio agli americani dopo l’attacco attraverso i canali abituali. Cioè l’ambasciata svizzera, che cura gli interessi americani in Iran e attraverso la quale c’era già stato un dialogo tra i due “nemici” il giorno dopo l’uccisione di Soleimani. In quell’occasione l’incaricato d’affari elvetico aveva portato un messaggio americano alle autorità iraniane, che soltanto a tarda sera erano tornate a convocarlo per consegnare la risposta destinata a Trump. In molti hanno pensato che in questo modo i contendenti si siano accordati per stabilire i limiti di sicurezza da rispettare per prevenire lo scoppio di una guerra.
E le parole pronunciate ieri da Trump lasciano intravedere scenari nuovi, addirittura un’ipotesi di disgelo tra Usa e Iran: «Siamo pronti alla pace», ha assicurato il presidente Usa, sostenendo la necessità di «un nuovo accordo che faccia crescere e prosperare l’Iran». Da qui l’invito a Europa, Russia e Cina di abbandonare definitivamente la storica intesa del 2015 sul nucleare iraniano, proprio come ha fatto l’amministrazione Trump. Intanto nella serata di ieri si rincorrevano le voci su continui contatti tra Washington e Teheran attraverso il canale svizzero. Si lavora sotto traccia per trovare una via di uscita alla crisi.