Estero

Svezia, la destra non sfonda ma il governo è un rebus

Più di otto elettori su dieci hanno votato per una delle due alleanze al potere da due decenni. Però è a rischio la governabilità del Paese.

10 settembre 2018
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La notte elettorale non ha scatenato uno tsunami politico contro l'establishment: pur ridimensionando i partiti tradizionali, la Svezia non ha ceduto più di tanto alle lusinghe populiste, confermando il suo sistema bipolare.

Più di otto elettori su dieci hanno votato per una delle due alleanze, che si alternano al potere ormai da due decenni. Appaiati attorno al 40%, centro-destra e centro-sinistra rischiano lo stallo, a meno di un accordo di non belligeranza che, come già in passato, consenta ad uno dei due blocchi la formazione di un governo di minoranza. Una soluzione auspicata da Ulf Stolt, opinionista del quotidiano Dagens Nyheter: "Quell'80% che non ha votato per gli Svedesi Democratici deve trovare il modo di governare la Svezia. Non c'è bisogno di uno scienziato per capire che è loro la responsabilità".

Ipotesi percorribile, ma non facile, perché entrambi i leader dei due principali partiti (Socialdemocratici e Moderati) hanno già rivendicato per sé il ruolo di primo ministro. In soccorso della governabilità del paese potrebbero allora arrivare gli Svedesi Democratici, finora confinati dentro un cordone sanitario, innalzato attorno a loro da tutte le altre forze politiche. Se, viceversa, il centro-destra decidesse di aprire un canale negoziale con i populisti - di certo non un'alleanza di governo, piuttosto un accordo per un sostegno esterno al nuovo esecutivo - a quel punto avrebbero la strada spianata per governare.

"Bisogna sicuramente coinvolgere gli Svedesi Democratici nella dialettica politica - incalza Lars Tragardh, professore della Ersta Sköndal Bräcke University -. Quando una forza raggiunge il 20% dei consensi, o anche solo il 10% come il Partito della Sinistra, bisogna trattarla con serietà, non emarginarla".

Lo scenario più probabile, con o senza l'aiutino della destra radicale, appare dunque un nuovo governo di minoranza, il terzo consecutivo, con una ristretta base parlamentare, e conseguenti, inevitabili, vincoli operativi. "Non vedo grandi alternative - conviene Johan Ingero, direttore del think tank TIMBRO -. O si supera, tra le coalizioni, il tradizionale schema destra-sinistra, oppure si dovrà negoziare con gli Svedesi Democratici. Ma la mia previsione è che la prossima legislatura sarà uguale all'ultima, con un parlamento che potrà decidere poco".

Lo spoglio dei voti ha certificato la netta avanzata, seppur inferiore alle attese, della destra nazionalista, diventato il terzo partito del paese. Un exploit a metà, che propone una duplice interpretazione. Soprattutto nelle ultime settimane sono emersi in maniera evidente i limiti programmatici degli Svedesi Democratici: la loro retorica populista, con bersaglio le politiche migratorie, ha attirato i voti del diffuso malcontento, ma senza proporre una valida alternativa. Auto-relegandosi, così, a forza di sola protesta, ma non di proposta.

Ma c'è anche una lettura socio-culturale, legata al significato ultimo delle elezioni. In palio non c'era solo la composizione del nuovo Parlamento, ma anche l'idea stessa della Svezia di domani. In schiacciante maggioranza, gli svedesi hanno votato la continuità: hanno preferito lo status quo, pur imperfetto, ad una sconfessione di quei valori identitari, come l'accoglienza e la tolleranza, che hanno garantito al loro paese lo status di superpotenza umanitaria.

Intanto, dopo la grande paura, da Bruxelles è arrivata solo una tiepida reazione da parte del portavoce di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea: "Gli svedesi hanno votato liberamente e democraticamente, e siamo fiduciosi che il Governo che emergerà continuerà nel forte impegno nei confronti dell'Ue".

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