Estero

Accordo Israele-Onu: i migranti da reinsediare sono 16mila

L’obiettivo è risolvere la crisi dei profughi africani che ha suscitato polemiche internazionali per la linea dura portata avanti dallo Stato ebraico

archivio Keystone
2 aprile 2018
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Stop al piano di trasferimenti forzati verso l’Africa, reinsediamenti in Paesi terzi ancora "da individuare" per circa 160’000 eritrei e sudanesi, soluzioni per un totale di 39’000 persone in cinque anni.

Sono i punti principali nel testo dell’accordo raggiunto dall’Unhcr, l’agenzia Onu per i rifugiati, e Israele. L’obiettivo: risolvere la crisi dei profughi africani che ha suscitato polemiche internazionali per la linea dura portata avanti dallo Stato ebraico.

Israele non andrà avanti dunque con gli espatri forzati dei profughi verso Paesi come Uganda o Ruanda. Con il "supporto dei Paesi riceventi", invece, l’Unhcr – precisa il testo – lavorerà per facilitare la partenza verso altri Paesi considerati più sicuri. Questo avverrà con diversi strumenti, elencati nel testo dell’accordo. Tra questi: reinsediamenti, riunificazioni familiari, programmi di lavoro. Altri rifugiati riceveranno invece uno status legale in Israele.

In particolare, l’agenzia Onu e lo Stato ebraico elaboreranno programmi per incoraggiare i richiedenti asilo eritrei e sudanesi a lasciare i quartieri a sud di Tel Aviv dove per la maggior parte si sono concentrati negli ultimi anni. In programma, anche corsi di formazione professionale nei settori dell’energia solare e dell’agricoltura.

Secondo le informazioni fornite dall’autorità israeliana per l’immigrazione, a fine 2017 erano 26’600 eritrei e 7600 i sudanesi in Israele. In base a quanto segnala l’Unhcr, dall’inizio del contestato programma di trasferimenti – a dicembre 2013 – circa 4500 profughi sono stati fatti partire dal Paese.

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