Estero

Rigopiano, un anno dopo la valanga

Un viaggio in Abruzzo sui luoghi travolti dalla neve, mentre restano aperti molti interrogativi sulle eventuali responsabilità

(Wikipedia)
14 gennaio 2018
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Franco guarda fisso davanti a lui, verso la parete dove ha sistemato un quadro: al centro c'è la parola 'neve'; tutt'attorno i 29 nomi scritti in modo da formare un cuore. "Era iniziata così anche un anno fa. Prima un nevischio pesante e bagnato, poi i fiocchi sempre più grossi, morbidi. In meno di un'ora la neve ha sommerso ogni cosa, è diventato tutto bianco. E non smetteva. Ne è venuta giù quanta non ne avevo mai vista in tutta la mia vita. E' andata avanti così tutta la notte e il 18 gennaio ci siamo svegliati che nevicava ancora. Sempre più forte. Vedi lì, dove c'è la finestra? C'erano due metri e mezzo di neve. Eravamo completamente isolati. Poi sono arrivate quelle maledette scosse. E nessuno mi leverà mai dalla testa che se non ci fosse stato il terremoto quella valanga non sarebbe mai venuta giù. Ma sono discorsi inutili, il terremoto c'è stato e la valanga ha fatto quello che ha fatto".

Per tornare a Rigopiano, un anno dopo, si parte da qui. Dalla trattoria 'Lu Strego', 8 chilometri dall'albergo, il luogo dove si incontrano i familiari delle vittime dell'hotel. E' l'unico posto della zona per quei genitori e figli dove poter parlare, abbracciarsi, ricordare, piangere senza avere davanti agli occhi l'orrore in cui sono rimaste sepolte le vite e i sogni delle persone che amavano. Franco, il titolare, li ha visti decine di volte. "E ogni volta è sempre uguale. Non capiscono, non riescono a farsene una ragione". Gianluca Tanda è il presidente. Sotto la valanga è rimasto suo fratello Marco, pilota Ryanair. "Ci sentiamo soli e profondamente amareggiati - ripete da mesi - sarà impossibile fare pace con le istituzioni, perché sappiamo tutti come è andata".

Alessio Feniello ha ancora la rabbia dentro. L'albergo si è portato via suo figlio Stefano, che era a Rigopiano con la fidanzata per festeggiare il suo compleanno. A questo padre hanno prima detto che il suo ragazzo era tra gli 11 sopravvissuti e poi che no, si erano sbagliati, non era così. "I politici stiano fuori dalle commemorazioni, non li vogliamo, non vogliamo che qualcuno faccia campagna elettorale sulla nostra pelle. Non devono venire quassù". Per ora sulla strada che porta all'hotel non c'è nessuno, né politici né gente comune: quel serpentone di mezzi di soccorso bloccati nella neve è solo l'immagine che ha fatto il giro del mondo e che oggi affiora nella memoria tornante dopo tornante. A un chilometro dall'albergo, dove la strada si apre sul piano e il cartello segnala l'hotel che non c'è più, la pioggia si fa neve. Scende pesante mentre le nuvole basse coprono la vetta del monte Siella.

Solo che allora c'erano quattro metri di neve e oggi a stento 40 centimetri: si vede molto meglio la distruzione e lo scempio. Le macerie e i ricordi abbandonati. Una valigia vuota, dei cuscini, pezzi di divano, un materasso, un vassoio d'argento. E poi migliaia di alberi divelti, una sequenza infinita di rami e tronchi larghi anche un metro, accatastati uno sull'altro a formare un tappeto senza fine che parte cento metri a monte del punto in cui era l'albergo e finisce 400 metri più in basso. Con la neve che scende sembra un mondo in bianco e nero, senza vita, senza colori. Ad interromperlo solo la recinzione arancione che delimita tutta l'area sotto sequestro e il quadro con le foto delle 29 vittime sotto l'insegna dell'hotel. Sorridono tutti, dipendenti e clienti, attorno alla parola 'Mai più'.

Anche la sala biliardo dove hanno salvato Ludovica, Samuel ed Edoardo, è rimasta come era alle 16.48 del 18 gennaio: ci sono le decorazioni di Natale appese al soffitto e i quadri alle pareti, le lampade senza un graffio e i giochi da tavolo impilati su una sedia, le bottiglie di birra sul tavolo e quelle dei superalcolici nella vetrinetta. Qui la valanga non è mai esistita ed è devastante rendersi conto che tra la vita e la morte c'è meno di un metro. Un niente. La distruzione che ha travolto Rigopiano l'hanno vista in tutto il mondo, ma non nel quartier generale di Google, in California. Su Maps si vede la distruzione dell'hotel, che però nell'applicazione street view è ancora al suo posto; si vede la Spa, il campo da tennis, l'intero edificio di quattro piani scintillante in una giornata di sole autunnale. Forse qualcuno a Mountain View farebbe bene ad intervenire, se c'è ancora qualcuno capace di decidere al posto di un algoritmo.

Si poteva evitare, Rigopiano? Si potevano salvare, quelle persone? Di chi è la colpa? Regione, Provincia, Prefettura, Comune? Oppure è stata una tragedia in cui si sono sommate così tante sciagure che neanche i vigili del fuoco, nelle esercitazioni in cui simulano i diversi scenari d'intervento, avevano mai ipotizzato? La procura di Pescara ha già iscritto sul registro degli indagati i nomi di 23 tra funzionari pubblici e tecnici, con accuse che vanno dall'omicidio alle lesioni dolose plurime, dal falso all'abuso edilizio. E non è finita qui. Saranno i magistrati a dire se quell'albergo era dove non doveva stare, se la strada poteva essere pulita prima della valanga, se ci sono stati ritardi nei soccorsi.

Ma non va dimenticato che quel 18 gennaio l'Abruzzo - mezza regione, non solo il comune di Farindola - era sotto una nevicata che nessuno da queste parti ricorda: c'era un metro di neve a Chieti, interi paesi isolati, migliaia di persone senza riscaldamento, 300mila senza luce, dializzati che dovevano essere trasferiti d'urgenza in elicottero per poter proseguire le terapie. Rigopiano, fino alle telefonate disperate di Giampiero Parete, era solo una delle tante situazioni dove c'erano difficoltà. E neanche la peggiore. Bisogna ricordare anche questo, per dire mai più.

La parole dell'ultimo sopravissuto

"Ci hanno scortato verso la morte la sera prima. Hanno pulito la strada, aprendoci la via per la morte e per non tornare più a casa". Giampaolo Matrone è l'ultimo sopravvissuto dell'hotel Rigopiano, lo hanno tirato fuori dopo 62 ore, ha subito 5 interventi al braccio e alla gamba. E' tornato nella sua pasticceria a Monterotondo, cittadina a 30 chilometri da Roma, circondando dall'affetto del paese e dalle foto di Valentina Cicioni, sua moglie, che a casa non c'è mai tornata.

"Ero sotto l'arco, quello subito prima della sala biliardo - racconta - Ho sentito un vento forte che arrivava, hai presente quando sei nella stazione della metro e prima del treno senti arrivare l'aria? Quella 'cosa' mi ha sollevato come fossi una piuma e mi ha fatto volare per 20 metri. Ho provato ad attaccarmi a qualcosa con le mani, ma non c'era nulla che mi potesse proteggere da quella forza. Sono finito contro delle vetrate, poi ho sentito un rumore sordo, una specie di 'bum bum bum bum' che sarà durato 5 secondi. E poi non ho capito più niente".

Gianpaolo mostra sul telefonino l'ultimo selfie con Valentina, è della sera prima. Quando è arrivata la valanga erano ad un metro di distanza; non si sono mai più visti. Come sia rimasto in vita è un miracolo: Matrone è finito sotto metri di macerie, steso a pancia sotto con una gamba avanti e l'altra indietro, il braccio incastrato sotto una trave. "Sentivo qualcosa di morbido sotto di me, per 60 ore ci ho appoggiato il mento. Era il corpo di una donna, l'avevo sentita tossire per un po', poi più niente. Attorno a me c'erano altri 3 morti, ma io non li vedevo. Quando mi hanno trovato mi hanno detto se riuscivo a toccarmi la gamba, perché non capivano come potessi essere messo in quella posizione assurda ed essere ancora vivo. Io ho allungato la mano e invece di toccare la mia gamba ho toccato quella del morto che mi stava sopra. Era una donna anche lei. Quando l'hanno rimossa per liberarmi mi hanno coperto la faccia per impedirmi di vedere, ma io ho visto".

Come si sopravvive, come si fa a passare due giorni con la morte addosso? "Ho mangiato un po' di neve ma l'ho sputata subito, era mista a chissà cosa, aveva un sapore orribile. Provavo a chiamare Valentina, ma non mi rispondeva. Pensavo a Gaia ma non avevo minimamente idea di quel che era successo, sembrava la fine del mondo. Ad un certo punto mi sono sentito soffocare, con i denti ho fatto una specie di buco sulla maglietta e sono riuscito a strapparmela, non respiravo. Ho sognato di lavorare, di essere qui in pasticceria e di essere chiuso in quel frigorifero (Giampaolo indica un grosso refrigeratore nel suo laboratorio, ndr) e sai perché? Perché lì teniamo l'acqua e io avevo sete".

Il racconto si interrompe un istante. "Vuoi sapere se avevo capito che Valentina era morta? L'ho saputo un'ora dopo essere uscito di lì ma lo immaginavo. Anche perché per tutte quelle ore l'ho avuta accanto a me, la vedevo come fosse un angelo, mi ha dato la forza per rimanere in vita e tornare da Gaia". Ma c'è stato un momento in cui hai capito che eri salvo? "Vuoi la verità? No, non c'è stato. Non ricordo neanche le facce di chi mi ha salvato. Quando li ho visti ho chiesto subito di Valentina e loro mi hanno detto che stava al caldo, per non farmi mollare. Io pensavo solo a Gaia, dovevo tornare a casa da lei, sono rimasto aggrappato alla vita per riabbracciarla e non lasciarla più". Secondo Matrone la tragedia di Rigopiano si poteva evitare. "A quelli che hanno sottovalutato la situazione, gente che ogni mattina si mette la giacca e la cravatta e che ha passato il Natale ridendo e scherzando con chi ama, dico solo una cosa. Vorrei che provassero quel che ho vissuto io, basta un'ora delle 60 che ho passato lì sotto. E voglio che i responsabili di questa tragedia abbiano la vita distrutta così come l'abbiamo avuta noi. Io vivo solo per due motivi: fare tutto quello che serve a Gaia per vederla sorridere; avere giustizia come uomo, padre, marito e cittadino".

Ma i soccorritori che ti hanno salvato, anche loro fanno parte di quello Stato che ha sottovalutato la situazione. "Ringrazierò sempre chi mi ha salvato, quegli uomini e quelle donne che hanno scavato per ore rischiando la vita. Ma non ringrazierò mai i Corpi a cui appartengono". Giampaolo sospira. "Vedi, già prima di Rigopiano non avevo fiducia nello Stato, lo vedevo che l'Italia è ridotta male, con tutto il marcio che c'è, figuriamoci ora. Non voglio pacche sulle spalle, sono tutti capaci ora a venire a chiedere cosa serve, di cosa abbiamo bisogno. Dovevano venire allora, quando ci hanno lasciato ad aspettare la morte come dei predestinati".

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