Estero

Il Papa in Myammar ricevuto dal capo dell'esercito non parla dei Rohingya

27 novembre 2017
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"La grande responsabilità delle autorità del Paese in questo momento di transizione" è l’oggetto del primo colloquio del Papa in Myanmar, il fuori programma concesso al capo dell’esercito, generale Min Aung Hlaing. Nessun accenno ufficiale al problema dei Rohingya, la minoranza musulmana del Rakhine in fuga verso il Bangladesh, in pieno disastro umanitario, minoranza cui la Costituzione fortemente antidemocratica del 2008 non riconosce neppure la cittadinanza. Il colloquio con il generale Ming Aung Hlaing – considerato uno degli uomini più potenti del Paese e che aveva chiesto di essere ricevuto dal Papa grazie anche alla presentazione del cardinale Charles Bo – era stato inserito nella agenda del 30 novembre mattina, ma evidentemente papa Francesco ha voluto approfittare del primo giorno in Myanmar, scevro di impegni ufficiali, per incontrare il comandante in capo della Difesa birmana, accompagnato da altri quattro militari e da un segretario.

Per il cerimoniale vaticano è stata una "visita di cortesia", con anche lo scambio dei doni: il generale ha offerto una arpa a forma di battello e una ciotola di riso decorata, e il Papa ha ricambiato con la medaglia del pontificato. Il colloquio si è svolto in arcivescovado a Yangon, dove papa Bergoglio alloggia durante la sua permanenza nell’ex Birmania. Domani invece, nella capitale Nay Pyi Taw renderà visita nel palazzo presidenziale al presidente Htin Kyaw e avrà un colloquio con la leader democratica Aung San Suu Kyi, oggi ministro degli Esteri e capo del partito che ha trionfato nelle elezioni del novembre 2015. Uno dei problemi della fragile democrazia del Myanmar è infatti proprio il ruolo dei militari, che hanno ceduto il potere nella primavera del 2016, ma conservano importanti ministeri, come quello dell’Interno e quello dei Confini (centrale nella questione delle migrazioni delle minoranze). I militari hanno inoltre il controllo di molta parte dell’economia del Paese, anche a causa di meccanismi corruttivi sviluppatesi nei decenni della dittatura, cominciata nel 1962.

Serve la loro approvazione per le assunzioni pubbliche, occupano l’80% dei seggi dell’amministrazione, sono la più forte istituzione politica e hanno una percentuale di seggi riservati in parlamento; il generale ha detto che intende azzerare la loro presenza in Parlamento, ma non ha finora fissato un calendario per farlo. Il generale Aung Hlaing inoltre ha espresso alcune critiche al rapporto di Kofi Annan sulla situazione dei "rohingya" del Rakhine e sul modo per risolvere la questione umanitaria nei campi profughi in cui sono ospitati, e di integrarli nella società birmana. Il rapporto è stato invece accettato, oltre che commissionato, da Aung San Suu Kyi, che nelle settimane scorse ha visitato il Rakhine e sostenuto la firma nei giorni scorsi di un accordo con il Bangladesh per il rimpatrio dei "rohingya" in Myanmar. Una delle priorità di Aung San Suu Kyi è stata sviluppare relazioni di lavoro con i militari e con il generale che ha oggi incontrato papa Francesco, anche se è facile dimenticare che prima delle elezioni del 2015 ci si chiedeva se questi avrebbero accettato il risultato delle urne, e che nel ’91 negarono la via democratica, benché il partito di Aung San Suu Kyi avesse conquistato l’80% dei seggi in parlamento. Secondo alcuni osservatori, anzi, uno degli errori della leader democratica è stata di tentare di risolvere il problema delle minoranze senza tener conto dei militari, e non avendo il potere per farlo.

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