Estero

Ombre nere a Varsavia

20 novembre 2017
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Il 13 ottobre una ‘catena di preghiera’ per proteggere l’Europa dalla ‘invasione islamica’; l’11 novembre una marcia dell’estrema destra, animata da slogan fascisti e professioni di fede cattolica. Che cosa succede in una Polonia il cui governo è in perdu.

A voler essere cattivi, la sintesi l’ha data lo striscione con la scritta ‘Pregate per un Olocausto dei musulmani’. L’11 novembre 2017, festa nazionale polacca, sessantamila persone hanno sfilato a Varsavia in un corteo aperto dallo slogan ‘Vogliamo Cristo, vogliamo Dio’, affermando orgogliosamente l’appartenenza a una ‘Polonia Bianca’. Una Polonia, questa la sintesi, cattolica (‘pregate’), che – cosciente o no – sembra fare proprio un passato per il quale non è del tutto innocente (‘l’Olocausto’), e che ha individuato nell’odio verso i ‘musulmani’ un efficace succedaneo di quello un tempo rivolto ai ‘giudei’. Certo, c’è anche un’altra Polonia, erede di quella che coraggiosamente mostrò la via agli altri paesi del Patto di Varsavia, guadagnandosi il rispetto e l’ammirazione del resto d’Europa. Ma oggi è tacitata da un governo nazionalista che con l’Europa è in aspro conflitto, e che non fa niente per nascondere le affinità con l’ispirazione di quel corteo. Come ha osservato Francesco Cataluccio, che la conosce bene, questa Polonia “è un campanello d’allarme anche per noi”.

Daniele Stasi, quasi tutti gli analisti insistono nel distinguere tra governi nazionalisti e movimenti di estrema destra. Ma se in Ungheria Orban flirta con Jobbik, in Polonia il ministro dell’Interno Blaszcak ha detto che la manifestazione dell’11 novembre è stata “un bello spettacolo”. Il nazionalismo dei governi, più che arginarla ha dunque fatto cadere le barriere che impedivano all’estrema destra di prendersi gli spazi che ha?

Secondo Jarosław Kaczynski, presidente del partito al governo Diritto e Giustizia (Pis), le manifestazioni di sciovinismo, fascismo e antisemitismo dell’11 novembre (giorno della festa nazionale) sono state ‘una provocazione’.; espres- sione di un fenomeno ‘marginale’, benché in piazza vi fossero sessantamila persone. So che è difficile applicare i nostri criteri di giudizio alle particolarità ‘locali’, ma non si possono ignorare le somiglianze tra i temi sposati dal nazionalismo del governo polacco e quelli più esplicitamente fascisti scanditi alla testa del corteo, e che sembrano voler riportare una parte d’Europa a un contesto premoderno. Una presa di distanza dalla manifestazione è giunta dal governo due giorni dopo, e solo per bocca del vicepremier, accompagnata da un ‘ridimensionamento’ della portata della manifestazione. Non deve stupire: già qualche anno fa, Kaczynski aveva detto di sperare di ‘fare qualcosa come a Budapest’. Si può forse dire che nel governo di Varsavia i toni sono meno accesi di quelli utilizzati dal capo del governo magiaro Viktor Orban – che propaganda l’idea di un nemico alle porte, una potenza mediatica internazionale che minaccia la cultura nazionale – ma l’effetto politico è lo stesso. Questa Polonia è determinata a ridiscutere i rapporti tra est e ovest all’interno dell’Unione europea. E che cosa intenda lo si è capito quando ha rifiutato di votare l’elezione di Donald Tusk, polacco, alla presidenza del consiglio europeo. Ma se a Parigi, Berlino o Bruxelles questa politica genera sconcerto, a Varsavia assicura al partito di maggioranza un gradimento del 40%, con punte ben maggiori nelle aree periferiche.

La crescita della destra e del nazionalismo radicali è sbrigativamente ritenuta conseguenza della crisi economica o della pressione migratoria. Ammesso che vi sia del vero, sembra una spiegazione poco attendibile per una Polonia il cui tasso di disoccupazione del 5,3% fa invidia a molti Paesi europei, e che quest’anno ha trattato poco meno di 1’500 richieste di asilo: soltanto 18 di profughi dalla Siria, le restanti dalle ‘bianche’ e ‘cristiane’ Russia e Ucraina. Non agisce piuttosto un elemento ideologico?

Un elemento ideologico è evidente e insiste a proporre un discorso, spesso confuso, che rappresenta la situazione del Paese quale non è in realtà. La Polonia non sta vivendo una crisi economica o sociale: la sua economia è migliore di quella di vent’anni fa. Determinante mi sembra piuttosto la pedagogia di orgoglio nazionale ben applicata da questo governo. Cosicché il cittadino polacco medio sembra vedere in Kaczynski e nel governo di Diritto e Giustizia figure in grado di discutere alla pari le politiche europee con i grandi Paesi dell’Unione; in altre parole, di rimettere equilibrio nei rapporti tra i Paesi fondatori e quelli che a lungo sono stati i parenti poveri, gli ex comunisti. Kaczynski e Pis riescono a far sentire il polacco medio parte di un discorso nazionalista teso a rivalutare il peso della Polonia, eliminando un complesso di inferiorità, retaggio del passato comunista. E questo spiega, ad esempio, il consenso di cui godono tra i nati dopo il 1989. Un consenso, va osservato, che deve molto ai sistemi che Pis pare avere assimilato direttamente dal vecchio partito comunista. Analogamente, Pis può contare su agenzie di comunicazione, su media importanti come Radio Maria sul controllo delle tv nazionali. Un esempio di quanto la tv polacca ricordi quella comunista: l’11 novembre, per la prima volta da quando è presidente del consiglio europeo, anche Tusk ha partecipato alle cerimonie ufficiali (invitato non dal governo, ma dal presidente della repubblica). Ebbene, la tv pubblica ha dedicato ampio spazio agli ampollosi discorsi delle autorità, mostrando della presenza di Tusk solo i fischi che gli sono stati indirizzati. Quella stessa tv pubblica che tace gli scioperi dei medici, dei procuratori, le manifestazioni delle donne. Altrove la si chiamerebbe disinformazione.

Quale peso ha il retaggio del passato sulle politiche di questo governo?

In effetti, non solo Pis, ma l’intero governo sembrano avere fatto propria una postura, un metodo ereditati dal vecchio Partito operaio: “Il governo governa, il partito dirige”, si diceva allora… Anche oggi, il segretario del partito Kaczynski è una figura politicamente ben più importante e del presidente della repubblica (con il quale ha importanti contrasti, seppure latenti) e anche del capo del governo. La stessa Beata Szydło in una recente conferenza stampa ha ringraziato Kaczynski per avere, letteralmente ‘ricevuto dalle sue mani’ la fiducia per formare il governo. Si immagini una cosa simile in un altro Paese europeo… Questo retaggio è rintracciabile anche nelle politiche sociali adottate. Come in epoca comunista, si investe in opere pubbliche e si cerca di venire incontro ai problemi delle famiglie, con politiche di sostegno alla natalità, identiche a quelle del passato regime. Dunque, da una parte Pis sposa il modo di fare del Partito operaio, restandone ben lontano ideologicamente; dall’altra accentua lo spirito di radicale patriottismo fomentando un atteggiamento rivendicativo nei confronti degli altri Paesi europei. Questo produce un effetto immediato sulla classe media e sui giovani che vogliono smettere l’abito del polacco svantaggiato rispetto agli omologhi dei Paesi occidentali.

E quale è il ruolo della Chiesa in tutto ciò? Il cattolicesimo polacco non è certamente noto per apertura e disponibilità al confronto…

Tornando al corteo dell’11 novembre, va detto che l’episcopato ha preso le distanze dai toni accesi della manifestazione, così come fa con le espressioni più radicali in parlamento o sui media. Di fatto, tuttavia, i rapporti di collaborazione, se non di connivenza, tra la gerarchia ecclesiastica, questo governo e l’area che lo sostiene sono evidenti. Nella manifestazione dell’11, lo striscione di apertura del corteo diceva ‘Vogliamo Dio’ e i partecipanti si professavano cattolici, come quelli che il 13 ottobre avevano formato la “catena di preghiera per proteggere l’Europa” al confine orientale del Paese. Questa professione di fede non può che trovare voci concordi e qualche volta entusiaste all’interno della Chiesa. Di rapporti organici non è forse corretto parlare, ma che vi sia un modo comune di pensare, che vede nella modernità una minaccia all’identità polacca, è senz’altro vero.

Che posto può avere questa Polonia in Europa?

Intanto siamo al punto che che il governo Szydło ha ribadito la pretesa delle riparazioni di guerra dalla Germania… Varsavia vuole ridiscutere tutto, come una fidanzata che, invitata a cena a casa del futuro marito, vuole rimettere in discussione tutto, dalle portate al colore della tovaglia. La Polonia ha ragione di volere riconosciuto il suo ruolo nello scacchiere internazionale: si tratta pur sempre di un grande Paese e collocato ai confini orientali dell’Unione. E le riforme applicate negli ultimi anni, benché abbiano anche accentuato certe disparità sociali, hanno avuto importanti riflessi dal punto di vista economico. Ora il governo sembra agire come farebbe un sindacato che rivendica migliori condizioni per i lavoratori. Anche da questo punto di vista è possibile riconoscere una somiglianza tra il vecchio partito comunista e un governo che cerca di ottenere il massimo da una negoziazione. Che lo ottenga non dipende tuttavia solo dalle proprie pretese…

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