Estero

Il clima cambia, Trump no

9 agosto 2017
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Diversamente freddo: la lingua di gomma dell’amministrazione Trump vuole cancellare tutti i riferimenti al climate change, a costo di arrivare alla censura linguistica. Stando ad e-mail riportate dal ‘Guardian’, il Dipartimento dell’agricoltura Usa ha chiesto ai suoi dipendenti di sostituire “cambiamento climatico” con l’anodino “estremi meteorologici” (weather extremes). Nei nuovi documenti del Dipartimento, “adattamento al cambiamento climatico” diventerà “resistenza al clima estremo”, e “ridurre i gas serra” si trasformerà nell’ubriacante “accrescere la sostanza organica del suolo, aumentare l’efficienza nell’uso di sostanze nutritive”.

Ecoscettici al potere

Una strategia diretta da Sam Clovis, nuovo capo della ricerca scientifica del Dipartimento. Che però non è uno scienziato: prima faceva il presentatore radio per programmi di ultradestra. Quella linguistica è solo l’ultima delle trovate di Trump, culminate a giugno nell’abbandono dell’Accordo di Parigi sul clima. Già in passato Trump aveva fatto cancellare ogni riferimento al cambiamento climatico dai siti governativi, continuando a contestare la ricerca sul clima e ipotizzando perfino un complotto cinese, ordito per imbrigliare l’economia americana. A fare il gioco di Clovis, inondando lo staff di direttive sul newspeak trumpiano, è Bianca Moebius-Clune, responsabile del Dipartimento che combatte il deterioramento del suolo. La quale invita i colleghi a sottolineare nelle loro comunicazioni la priorità della crescita economica, le nuove opportunità di business, l’importanza del turismo agricolo e di non meglio specificati “miglioramenti estetici”. Una direzione che dovrebbe diventare routine, “tollerata, anche se non apprezzata da tutti”.

La dura realtà

Ma non sempre le cose cambiano insieme alle parole, e sono gli stessi scienziati federali a ricordarlo: un nuovo rapporto siglato da 13 agenzie governative ribadisce chiaro e tondo l’aggravarsi del cambiamento climatico, e il fatto che le attività umane ne siano una delle cause principali. I contenuti sono stati anticipati dal ‘New York Times’: le temperature medie sono salite nettamente dal 1980, toccando picchi mai visti nei 1’500 anni precedenti; 30 di questi ultimi anni risultano i più caldi mai registrati nella storia. “Svariati elementi dimostrano che le attività umane, in particolare le emissioni di gas serra, sono le principali responsabili per il cambiamento climatico osservato di recente”. L’ampio documento è stato elaborato dall’Accademia nazionale delle scienze, che ogni quattro anni prepara una valutazione capillare sulle evoluzioni del clima, sottoposta al beneplacito della presidenza prima di venire presentata al Congresso. Secondo gli scienziati, nel corso del secolo appena iniziato è possibile prevedere un surriscaldamento superiore ai 2 gradi centigradi (quasi 5 nella peggiore delle ipotesi). Si tratta di aumenti in grado di creare sconvolgimenti a tutti i livelli: dall’aggravarsi delle ondate di caldo e delle piogge tropicali alla morte delle barriere coralline, con mutazioni che finirebbero per minacciare l’incolumità di ampi segmenti della popolazione americana e mondiale. Il report si spinge fino ad evidenziare una correlazione diretta fra alcuni episodi di condizioni climatiche estreme e il climate change: una correlazione sospettata da tempo, ma mai documentata in modo così approfondito. La ricerca ha infatti interessato ogni angolo d’America, e ovunque sono stati riscontrati i segni del cambiamento climatico. Al contempo, anche episodi come l’ondata di canicola del 2003 in Europa e quella australiana del 2013 paiono molto probabilmente aggravati dall’inquinamento creato dall’uomo.

Il carbone nella calza

Il report nota che per stabilizzare la situazione occorreranno significative riduzioni nelle emissioni di gas serra: esattamente quanto auspicato dall’Accordo di Parigi. Per questo, alcuni scienziati interpellati dal ‘New York Times’ temono che la Casa Bianca possa alterare o eliminare la documentazione. Uno scenario tutt’altro che fantasioso: il capo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente, Scott Pruitt, ha dichiarato più di una volta di non credere che le emissioni di CO2 contribuiscano in modo decisivo al surriscaldamento globale. Intanto la strategia energetica della nuova amministrazione è tutt’altro che verde: addio alle misure introdotte da Obama per produrre energia più pulita (il Clean Power Plan), si ritorna al vecchio carbone. È di questi giorni la decisione di incoraggiare lo sviluppo di nuove miniere su terreni di proprietà federale, e di bloccare l’aumento dei diritti di concessione che Obama intendeva infliggere all’industria dei combustibili fossili. Un rischio per tutti se, come notano gli scienziati federali, “le scelte di oggi determineranno per i prossimi decenni la gravità del cambiamento climatico.” Pardon: degli estremi meteorologici.

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