Estero

La questione polacca

16 gennaio 2016
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La Commissione europea ha aperto un’indagine sulle violazioni dello Stato di diritto in Polonia. Procedura mai adottata in precedenza e che conferma il degrado delle relazioni tra Bruxelles e Varsavia. Un quadro della nuova ‘era Kaczynski’ nell’intervista a Daniele Stasi, docente di Storia delle dottrine giuridiche e politiche presso la Facoltà di filosofia dell’Università di Rzeszów.

La Polonia è sotto inchiesta. Non era ancora accaduto che un Paese dell’Unione europea venisse fatto oggetto di indagine da parte della Commissione per verificare se vi si stessero consumando “violazioni sistemiche dello Stato di diritto”. L’aveva fatta franca il despota democratico ungherese Viktor Orban (ma la procedura applicata a Varsavia fu concepita nel 2014 proprio in conseguenza di quanto avveniva a Budapest), non è riuscito a evitarla il governo di Beata Szydlo, nato dal grembo di Diritto e Giustizia (Pis), “macchina da guerra” nelle mani di Jaroslaw Kaczynski. L’ex capo del governo polacco (a sua volta fratello dell’ex presidente Lech, morto nel 2010 nella sciagura aerea di Smolensk in Russia) non è soltanto l’indiscusso leader del partito, ma è soprattutto ispiratore e artefice di una inarrestabile riconquista del Palazzo. Dapprima, nel maggio scorso, con l’elezione del presidente della repubblica Andrzej Duda; poi con la travolgente vittoria alle legislative di ottobre. Non bastandogli, Kaczynski ha imposto l’addomesticamento del Tribunale costituzionale, attraverso una riforma che viola le norme del tribunale stesso; e una riforma del sistema radiotelevisivo pubblico, che ne “commissaria” la direzione giornalistica. Passino dunque la propaganda nazionalista e xenofoba, il discorso intriso del cattolicesimo più retrivo, ma Varsavia (tra i maggiori beneficiari dei fondi europei) deve avere esagerato con le accuse di mire egemoniche alla Germania, con il sistematico boicottaggio della politica comunitaria di accoglienza dei profughi, se la Commissione ha deciso di intervenire.

Professor Stasi, il partito Diritto e Giustizia (Pis) di Jaroslaw Kaczynski controlla ormai il potere esecutivo, quello legislativo, ha ‘messo le mani’ sulla Corte costituzionale e ha riformato la legge sull’informazione adeguandola a un proprio disegno di subordinazione. Siamo davanti a una ‘occupazione del potere’, come affermano i critici, in Polonia e in Europa?
In effetti, diversi costituzionalisti polacchi paventano una deriva autoritaria. Ma a partire dai punti che lei ha elencato, è importante rilevare il nuovo rapporto tra la società civile e politica che il governo di Pis sembra voler introdurre, una sorta di “tutorato”, o comunque una forma politica che ricorda molto il “custode della tradizione” di schmittiana memoria, dove tale custode altri non è che Jaroslaw Kaczynski. Ancora pochi giorni fa, Kaczynski si è presentato in tv, contornato da numerosi sostenitori, affermando che finalmente la “vera verità” sulla tragedia aerea di Smolensk [dove morirono il fratello Lech e decine di altre persone, ndr] è ormai vicina, sottintendendo che non si trattò di un incidente. Una affermazione chiaramente intesa a compattare la società contro un nemico esterno – che può essere in questo caso la Russia, in altri la cancelliera Merkel, contro la quale si è già pronunciata buona parte dell’esecutivo – indicando negli oppositori interni i suoi “complici”. Già dieci anni fa, con lo stesso Kaczynski a capo del governo fu tentata, senza successo, questa operazione. La differenza è che oggi il suo partito dispone di un potere che allora non aveva ed è dunque in grado di imporla.

Il ruolo della chiesa cattolica in questo scenario non sembra quello di un attore secondario. Alcuni suoi esponenti si spingono fino al grottesco, se è vero che qualche giorno fa un prete ha inscenato un esorcismo davanti alla sede del quotidiano ‘Gazeta Wyborcza’, neanche vi abitasse il diavolo…
a direzione giornalistica. Passino dunque la propaganda nazionalista e xenofoba, il discorso intriso del cattolicesimo più retrivo, ma Varsavia (tra i maggiori beneficiari dei fondi europei) deve avere esagerato con le accuse di mire egemoniche alla Germania, con il sistematico boicottaggio della politica comunitaria di accoglienza dei profughi, se la Commissione ha deciso di intervenire. Professor Stasi, il partito Diritto e Giustizia (Pis) di Jaroslaw Kaczynski controlla ormai il potere esecutivo, quello legislativo, ha ‘messo le mani’ sulla Corte costituzionale e ha riformato la legge sull’informazione adeguandola a un proprio disegno di subordinazione. Siamo davanti a una ‘occupazione del potere’, come affermano i critici, in Polonia e in Europa? In effetti, diversi costituzionalisti polacchi paventano una deriva autoritaria. Ma a partire dai punti che lei ha elencato, è importante rilevare il nuovo rapporto tra la società civile e politica che il governo di Pis sembra voler introdurre, una sorta di “tutorato”, o comunque una forma politica che ricorda molto il “custode della tradizione” di schmittiana memoria, dove tale custode altri non è che Jaroslaw Kaczynski. Ancora pochi giorni fa, Kaczynski si è presentato in tv, contornato da numerosi sostenitori, affermando che finalmente la “vera verità” sulla tragedia aerea di Smolensk [dove morirono il fratello Lech e decine di altre persone, ndr] è ormai vicina, sottintendendo che non si trattò di un incidente. Una affermazione chiaramente intesa a compattare la società contro un nemico esterno – che può essere in questo caso la Russia, in altri la cancelliera Merkel, contro la quale si è già pronunciata buona parte dell’esecutivo – indicando negli oppositori interni i suoi “complici”. Già dieci anni fa, con lo stesso Kaczynski a capo del governo fu tentata, senza successo, questa operazione. La differenza è che oggi il suo partito dispone di un potere che allora non aveva ed è dunque in grado di imporla. Il ruolo della chiesa cattolica in questo scenario non sembra quello di un attore secondario. Alcuni suoi esponenti si spingono fino al grottesco, se è vero che qualche giorno fa un prete ha inscenato un esorcismo davanti alla sede del quotidiano ‘Gazeta Wyborcza’, neanche vi abitasse il diavolo… Il ruolo della chiesa cattolica in Polonia è storicamente importante. Sia nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, quando la chiesa e le frange più nazionaliste incarnarono una certa tradizione polacca; che nel secondo dopoguerra, quando la sola forma di contropotere, per quanto molto annacquato, era rappresentata soprattutto dalla chiesa. Oggi la chiesa è divisa al suo interno, ma non contrapposta. Vi sono correnti più nazionaliste e conservatrici (che hanno anche punte di misticismo e superstizione come quelle che lei ha ricordato) maggioritarie nelle campagne e nelle aree più arretrate del Paese. C’è un’altra parte che ha invece con il potere e la vita politica un rapporto più distante: una parte che cerca sì un dialogo con il potere politico, mantenendo tuttavia le distanze. E soprattutto ve n’è una ben più militante, rappresentata da Radio Marja, il cui capo, un sacerdote molto probabilmente multimilionario, diffonde una esplicita propaganda a favore del partito di Kaczynski. Ci si potrebbe chiedere a questo punto che cosa è rimasto della chiesa di Karol Wojtyla. È rimasto il suo segretario, l’arcivescovo di Cracovia, che tende a non immischiarsi nelle dinamiche politiche ma al quale forse non dispiace del tutto una clericalizzazione della società. E parliamo in ogni caso di una chiesa la cui ispirazione è in larghissima parte preconciliare, confinando le espressioni progressiste a poche “isole” molto marginalizzate.

Accanto ai tratti autoritari del regime introdotto da Diritto e Giustizia, alcune analisi fanno tuttavia notare che il consenso di cui gode non è di mera natura ideologica, ma esprimerebbe anche una reazione a un tipo di politiche economiche neoliberali, identificate con l’Ue. In questo senso, l’affermarsi del populismo a Varsavia sarebbe solo la variante polacca di quanto avviene nel resto d’Europa…
I nuovi populismi postcomunisti sono diffusi soprattutto nell’area che una volta si trovava a est della “cortina di ferro”: personaggi come Fico in Slovacchia, Zeman in Repubblica Ceca e Orban in Ungheria hanno molto in comune con Kaczynski. Ma la Polonia ha due specificità: intanto è uno Stato di grandi dimensioni, rispetto a quelli menzionati; in secondo luogo in Polonia agisce, come abbiamo detto, in misura determinante la chiesa cattolica e la sua cultura. Ma per tutti i casi agisce anche una ragione di natura economica: le riforme introdotte dai governi precedenti non hanno garantito una redistribuzione tangibile della ricchezza di fonte europea. In altri termini, ne hanno beneficiato soltanto le città e alcune aree della Polonia, e solo alcune fasce della popolazione. Tutto ciò ha generato risentimento e disaffezione nei confronti della politica: non dimentichiamo che quando la frequenza elettorale raggiunge il 52% lo si considera un successo. Quanto all’Europa, va detto che da una parte è intesa come occasione per “far cassa”, dall’altra come una minaccia alla cultura e all’identità polacca. Come lei sa, negli uffici e nelle uscite pubbliche del capo dell’esecutivo Beata Szydlo non compaiono più le bandiere dell’Unione europea, una delle sue prime decisioni. Ma va pure ricordato che tra il 2015 e il 2020 arriveranno in Polonia 300 miliardi di euro di fondi europei. Il loro utilizzo indicherà quale strada vuole imboccare questo potere politico, che tuttavia, per ora, non si pronuncia.

Il modello politico istituzionale di Kaczynski sembra ispirarsi più alla democrazia autoritaria di Putin che a quelle europee: un paradosso per un Paese tutto fuorché filorusso e per un ceto politico non uscito dai ranghi dell’ex Pc?
Sarà che la tragedia della Storia talvolta ritorna in forma di farsa… Diciamo che la richiesta dell’uomo forte discende sempre da una disaffezione dalla politica. Quando le istituzioni democratiche non funzionano o non sono rappresentative, si spalancano le porte al populismo e alla richiesta dell’uomo forte. Putin, per sue capacità ma anche un clima culturale diffuso lo rappresenta al meglio. In Polonia non si può certo parlare di “putinmania”, per quanto alcuni modelli culturali e alcuni atteggiamenti ricordino chiaramente la “democratura” di Putin. Ed è sì un paradosso che la Polonia vive a 25 anni dalla caduta del comunismo, finendo per barcamenarsi tra l’Unione europea, nei cui confronti si afferma la diffidenza, e la Russia, il gigante storicamente sempre avversato o temuto. Ma chiediamoci: se la Polonia non facesse parte dell’Unione europea, quanto potrebbe sentirsi al sicuro dalle rinnovate mire egemoniche di Mosca. Il caso dell’Ucraina è abbastanza esplicativo, in proposito.

Lo stesso ex presidente Lech Walesa ha denunciato recentemente il rischio di una involuzione autoritaria in Polonia. Che cosa resta dell’eredità di Solidarnosc?
Non credo che si possa dare una risposta definitiva. Quanto a Walesa mi sembra che viva ancora un proprio complesso di superiorità rispetto al ceto politico attuale, che gli deriva dai giorni grandiosi di Solidarnosc. Quanto a quest’ultima, credo appunto che la risposta vada sospesa. Spero che la sua eredità non sia dispersa, e credo che la si possa ritrovare in molta parte degli intellettuali che vi militarono, e che oggi si contrappongono a questo potere, ne criticano le riforme e ne rifiutano i riconoscimenti.

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