Tra le 25 persone coinvolte nell’inchiesta appena chiusa c’è anche un 64enne che vive a Pedrinate, già condannato nell’ambito dell’operazione ‘Scirocco’
Sono venticinque gli avvisi di chiusura delle indagini che la Procura della Repubblica di Como ha inviato nei giorni scorsi ad altrettante persone, fra loro una mezza dozzina di ticinesi, indagate nell’ambito dell’operazione ‘Ungherese volante’, una costola dell’inchiesta ‘Scirocco’ che nel 2017 fece emergere un ennesimo traffico di oro, preziosi e somme di denaro per una ventina di milioni di euro. I reati contestati sono a vario titolo associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio e al commercio di oro non autorizzato, tramite l’esportazione e l’importazione di metallo giallo dal Canton Ticino, e al riciclaggio di valuta proveniente da reati fiscali. L’aggravante del reato associativo è contestata a nove dei venticinque indagati. Oltre al 65enne considerato il capo dell’organizzazione, c’è un 64enne di Maslianico, considerato uno degli organizzatori, che abita a Pedrinate: nel dicembre dello scorso anno a Como è stato condannato a 3 anni di reclusione nell’ambito dell’operazione ‘Scirocco’.
Un’indagine, quella denominata ‘Ungherese volante’, tenuta sotto traccia, della quale in passato non si è saputo mai niente e di conseguenza non è mai stata scritta una sola riga, anche se negli ambienti della Procura lariana si parlava (sottovoce) di una nuova inchiesta sul traffico di oro, fotocopia di altre clamorose indagini, condotta dal sostituto procuratore Mariano Fadda, magistrato inquirente di grande valore scomparso l’ottobre dello scorso anno, e portata a termine dal pm Michele Pecoraro.
Si sapeva che al centro dell’inchiesta c’era una donna che all’epoca dei fatti, nel periodo compreso fra il 2016 e il 2021, si divideva tra Lugano e Dubai. L’importanza di questa nuova inchiesta deriva dal fatto che ha tracciato la strada maestra che ha consentito all’Ufficio della dogana e della sicurezza dei confini (Udsc) di contestare a un 65enne italiano, originario della Val d’Intelvi, per molti anni residente a Lugano, ultimo domicilio conosciuto Olgiate Comasco, i reati di frode fiscale, sottrazione di imposta e frode doganale e del controllo dei metalli preziosi. Stando all’accusa il 65enne comasco sarebbe stato ai vertici di un’ampia organizzazione che in poco più di cinque anni avrebbe contrabbandato 7 tonnellate di oro, proveniente dai ‘Compro oro’ di Marcianise, grosso comune in provincia di Caserta, capitale campana del metallo giallo, oltre che da Arezzo e Valenza Po.
A traghettare in Ticino i gioielli ereditati dalla nonna un esercito di spalloni (una quarantina quelli identificati dalle Fiamme gialle di Como). È dei giorni scorsi la notizia che l’Udsc ha trasmesso un atto di accusa al Tribunale penale cantonale ticinese, con la proposta di una pena detentiva di 3 anni e una multa non inferiore ai 500mila franchi, oltre al divieto di entrata in Svizzera per almeno 10 anni. Per il 65enne comasco la pena detentiva di 3 anni è una costante, come vedremo più avanti. Per quanto è dato a sapere gli investigatori svizzeri hanno ricostruito i numerosi viaggi degli spalloni, per lo più ex contrabbandieri di bionde il cui destino è quello di finire in fumo. L’Udsc ha dunque smantellato l’organizzazione attiva sul territorio svizzero (il riferimento è rivolto soprattutto ad alcune finanziarie, da anni in liquidazione, il cui ruolo era quello di acquistare l’oro in arrivo dall’Italia).
Determinante il ruolo del Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, comandato all’epoca dei fatti dal tenente colonnello Samuel Bolis, a cui si devono le inchieste ‘Scirocco’ e ‘Ungherese Volante’. In occasione dell’operazione ‘Scirocco’ il 65enne comasco considerato al vertice della vasta organizzazione, la cui attività criminosa è certificata dall’atto d’accusa dell’Udsc, il 25 febbraio 2017 era stato arrestato a Milano con le mani nel sacco, in cui c’erano 7 chilogrammi di oro grezzo proveniente da Marcianise e 270mila euro in contanti (540 banconote da 500 euro).
Il 65enne comasco che allora abitava a Lugano, dopo qualche mese di detenzione aveva patteggiato una condanna a 3 anni di reclusione. Stessa condanna, cioè 3 anni di reclusione, in un processo celebrato a Como nel 2014, nei confronti di una cinquantina di imputati, fra cui alcuni personaggi eccellenti del mondo economico ticinese. Un processo che dieci anni fa aveva suscitato parecchio interesse in Svizzera. Anche allora i reati contestati erano riciclaggio di oro (una ventina di chili) che passava da una società di Chiasso, i cui due responsabili in primo grado erano stati condannati a una pena pecuniaria di 900mila euro. Condanna non confermata in appello in quanto il reato era stato prescritto. Nel 2014 (e anche in secondo grado) numerose condanne per il riciclaggio di 30 milioni di euro. La sentenza dei giudici di Como ha fatto giurisprudenza: per la prima volta in Italia veniva riconosciuto il reato di riciclaggio di valuta in quanto proveniente da altro reato (primo fra tutti l’evasione fiscale). Insomma, per il 65enne comasco che alcuni considerano l’ultimo re del contrabbando d’oro in due processi celebrati a Como è valsa la regola del 3 (gli anni di condanna). Varrà così anche per i giudici del Tribunale penale cantonale ticinese?
Tornando all’inchiesta ‘Ungherese volante’ si sa che oltre a essersi sviluppata tra Italia, Svizzera, Principato del Liechtenstein e Germania ha interessato anche Austria e Ungheria, pure loro terminali dei lingotti d’oro, ricavati (in Ticino) dai rottami provenienti dall’Italia. In Romania e in Ungheria (ecco il perché di ‘Ungherese volante’) la fabbrica di documenti fasulli e fatture false che sarebbero dovute servire per giustificare la movimentazione di 7 tonnellate d’oro. Un quantitativo senza precedenti, per cui è legittimo attendersi clamorosi sviluppi.