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‘Lo zoo di vetro’, una famiglia richiusa su sé stessa

Una madre abbandonata, una figlia chiusa su sé stessa, un figlio che sogna una vita diversa: l’opera di Tennessee Williams al Sociale domani e giovedì

I protagonisti in scena
(ph Michele Crosera)
26 marzo 2025
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Una famiglia ‘strana’, i Wingfied: Amanda, abbandonata dal marito, vive con i due figli Laura, ragazza che un handicap fisico (è claudicante) ha reso timida e introversa, e Tom, stretto fra una vita banale, con la necessità di sostenere la famiglia con un lavoro ordinario, e i sogni artistici repressi. Un piccolo mondo chiuso che contiene tre piccoli mondi a loro volta ripiegati su sé stessi, un microcosmo composto di nostalgie, rimpianti e sogni che è al centro di ‘Lo zoo di vetro’, l’opera scritta nel 1944 da Tennessee Williams che andrà in scena il 27 e 28 marzo alle 20.45 al Teatro Sociale di Bellinzona, con la produzione del Teatro Stabile Veneto per la regia di Pier Luigi Pizzi.

Andato in scena per la prima volta nel 1944 a Chicago, ‘Lo Zoo di vetro’ è considerato un’opera fondamentale della drammaturgia americana, tanto da avere avuto anche due trasposizioni cinematografiche, nel 1950 e nel 1987, quest’ultima diretta da Paul Newman con John Malkovich nel ruolo di Tom. Proprio il personaggio di Tom rappresenta una sorta di trasposizione scenica di Williams, che scrisse l’opera teatrale a partire dal racconto ‘Ritratto di una ragazza di vetro’, fortemente autobiografico: il personaggio di Laura, infatti, è basato sulla sorella dell’autore, Rose, affetta da un handicap psichico.

Uno spaccato di vite tragiche

«Tom si rivolge spesso al pubblico – spiega l’attrice Mariangela D’Abbraccio, che impersonerà il ruolo della madre –, ci dice che tutto quello che vediamo non è realistico, ma è un ricordo, è la memoria della sua vita con la madre e la sorella. È una famiglia che vive una situazione irreale, che coltiva il sogno di realizzarsi, di scappare dal grigiore della propria vita. Ma al tempo stesso, nonostante questi aspetti tragici, è una famiglia piena di speranza, che crede nel futuro, nella possibilità di un cambiamento. È un testo che ha momenti molto violenti, ma anche sarcastici e comici: è uno spaccato di vite tragiche ma di persone molto vitali».

Lo zoo di vetro da cui prende il titolo l’opera è quello che Laura, la figlia, custodisce e di cui si prende cura nella sua introversa solitudine dettata dall’handicap fisico che la porta a chiudersi su sé stessa, nella sua stanza con i suoi dischi, i suoi libri e, appunto, i suoi animaletti di vetro. Qualcosa di simile agli Hikikomori odierni, in un certo senso. «Una gioventù che è fragile, ha paura di incontrare l’altro, di confrontarsi con la società – aggiunge l’attrice –. Sta lì, nel suo mondo, come ognuno sta sul suo telefonino, sul suo computer. È un tema molto attuale, in questo momento di difficoltà a rapportarsi con l’altro in modo vero e non filtrato da mille altre cose».

Ma lo zoo di vetro non è solo nella camera di Laura, «che la madre disprezza – spiega ancora D’Abbraccio – senza rendersi conto di essere lei stessa in uno zoo di vetro. La famiglia è un nucleo chiuso su sé stesso, che non riceve mai visite, al punto che anche un ospite a cena è quasi un miracolo, l’occasione per la madre, Amanda, per sfoggiare il vestito migliore, quasi come se andasse all’Opera».

Amanda, interpretata da Mariangela D’Abbraccio, è una donna dal vissuto complicato e pervaso da ansie e timori: «È certamente il personaggio, in fondo, più legato a una mentalità del passato, una donna che ha bisogno di avere un uomo accanto, una mancanza che soffre da quando il marito è sparito, e che riversa sui figli.

Ma è anche una donna piena di vitalità, che non si arrende, che spera che tutto possa cambiare per lei e i suoi ragazzi: una donna che litiga col figlio in modo anche violento ma al tempo stesso riesce a essere dolce, comica o sarcastica. È una persona reale, con le sue tante sfumature, ma ha dentro una grande ferita che non si rimarginerà mai e porta spesso alla luce, in varie battute: una donna sola, e ormai molto segnata».

‘Lo zoo di vetro’ è un’opera a cui Mariangela D’Abbraccio è molto legata, così come a Tennessee Williams, autore anche, fra l’altro, di altri capolavori anch’essi oggetto di fortunate trasposizioni cinematografiche come ‘La gatta sul tetto che scotta’, ‘La rosa tatuata’ e ‘Un tram che si chiama Desiderio’: «È un testo perfetto, che siamo fortunati a recitare, un capolavoro che tocca temi eterni ed esistenziali. Williams è un genio, un autore che ha scritto opere meravigliose e ha segnato tutta la drammaturgia contemporanea americana: è il maestro di tutti».