Satira del tecno-capitalismo prodotta e diretta (in parte) da Ben Stiller, per chi ama le serie in cui perdersi senza certezza di ritrovarsi
Ci sono tre tipi di serie tv o film che offrono allo spettatore un ‘mistero’. Il primo è quello delle serie tv ‘whodunit’, in cui al centro della trama c’è il caso di un omicidio da risolvere, come succede, ad esempio, in ‘The White Lotus’, di cui è da poco uscita la terza stagione. Questo tipo di rapporto col mistero è in fin dei conti rilassante, confortante per lo spettatore, anche se veniamo portati volutamente fuori strada fino all’ultima puntata, abbiamo la certezza che prima che l’ultima puntata finisca ci sarà una spiegazione di qualche tipo. E in tempi confusi come i nostri è già qualcosa, un piccolo miglioramento rispetto alla realtà che ci circonda. Il secondo tipo di serie tv misteriose è composto da quelle serie in cui il nostro bisogno di una soluzione è volutamente messo in crisi dagli autori, che volutamente eludono la risposta finale. ‘Twin Peaks’, ad esempio, ma per esteso anche tutte quelle serie in cui è evidente il rifiuto di darci un finale come si deve (c’è qualche fan dei Soprano tra voi?). In questo caso la frustrazione dovrebbe comunque farci sentire intelligenti, maturi: chi ha bisogno di soluzioni per vivere in un mondo incasinato come il nostro? Il terzo tipo di serie tv invece ci propone un mistero iniziale e lo moltiplica in tutte le direzioni come fosse un frattale. Dietro ogni domanda a cui lo spettatore vuole dare una risposta ce ne sono altre due, o tre, ogni indizio ci porta un pezzetto più giù nella tana del bianconiglio, finché non perdiamo il senso dell’orientamento in un labirinto di questioni sospese. Un esempio perfetto di questa metodologia indagativa è offerto da ‘Severance – Scissione’, la serie tv prodotta e diretta (in parte) da Ben Stiller.
Il mistero iniziale è il seguente: cosa succede in un mondo in cui è possibile mandare a lavorare una parte di sé del tutto separata (severed, appunto) dal resto di noi? E soprattutto: perché mai un’azienda dovrebbe volere questo tipo di impiegati, che sorta di lavoro terrificante richiede un così forte controllo sulla mente dei lavoratori? Quale mestiere può essere così intollerabile da motivare una cosa così drastica? Il punto non è esattamente questo, ‘Severance’ è prima di tutto una satira del tecno-capitalismo. Tanto più risonante nel momento in cui il braccio destro del presidente degli Stati Uniti è un magnate della tecnologia che vuole letteralmente infilare un chip nei nostri cervelli. Il tecno-fascismo è dietro le porte, scrive il New Yorker, e non ci sarebbe potuto essere momento migliore di questo per mandare in onda la seconda stagione di ‘Severance’ (su Apple Tv, un episodio ogni giovedì).
L’azienda si chiama Lumen e, come tutte le aziende contemporanee, aspira a diventare una religione. Gli impiegati, come se non bastasse lobotomizzarli momentaneamente, vengono manipolati dalla comunicazione aziendale, con al centro la storia del fondatore, Kier Egan, con pratiche burocratiche alienanti o eventi di gruppo appena appena distopici. Mark (il protagonista, interpretato da Adam Scott), Dylan (Zach Cherry), Irving (John Turturro) e Helly (Britt Lower) passano le loro giornate davanti a un vecchio monitor anni Novanta – come nei romanzi di Philip K. Dick la tecnologia è al tempo stesso futuristicamente miracolosa ma anche difettosa, già obsoleta – a raggruppare numeri vaganti sullo schermo in alcune cartelle. Lo fanno a sensazione, seguendo l’istinto che gli fa percepire alcuni numeri come ‘spaventosi’. Cosa facciano davvero, va da sé, non è dato sapere. I fan su Internet hanno dato vita a varie teorie, la più accreditata delle quali riguarda il controllo delle acque pubbliche per manipolare i pensieri delle masse. La mia teoria è che partecipino in qualche modo a un genocidio, o a omicidi politici, selezionando chi vada eliminato (mi rendo conto che è un’idea forse troppo oscura, persino per ‘Severance’).
Ma il mistero è solo la porta d’ingresso in un mondo interamente fatto di misteri. ‘Severance’, come detto, è il tipo di serie tv che tira un mistero dopo l’altro in faccia allo spettatore. Dal presupposto iniziale deriva una serie di conseguenze che Ben Stiller e la sua squadra di autori prendono molto sul serio. La più importante è che Mark, Dylan, Irving e Helly sono persone completamente diverse da quelle che sono nel tempo, diciamo, ‘libero’. Di più: le loro due versioni sono in conflitto – più che ‘imprenditori di sé stessi’ sono ‘schiavisti di sé stessi’ – ed è evidente a cominciare dal fatto che i personaggi ‘severed’, intrappolati nell’ufficio, cioè, chiamano i loro corrispettivi esterni ‘outie’, oppure semplicemente ‘lui’, come se si trattasse davvero di un’altra persona. In modo un po’ perverso Lumen fornisce loro pezzetti di informazioni sulla vita che svolgono all’esterno, per motivarli e rattoppare la loro identità inesistente. Eccezionalmente, organizza visite con membri della famiglia, lì sul luogo del lavoro, per farli sentire delle persone realmente esistenti.
E così ognuno dei quattro personaggi ha un rapporto specifico con il sé stesso esterno: Mark è un vedovo depresso, fuori, ma una volta entrato in ufficio è un lavoratore sorridente ed efficace, persino sereno: a lui scindere la propria coscienza conviene; Helly, invece, quando capisce come funziona si ribella a una vita fatta solo di lavoro e arriva a tentare il suicidio pur di convincere la sua ‘outie’ a non mandarcela più (anche se, di fatto, quella per lei sarebbe una specie di morte), peccato che alla fine della prima stagione scopriamo che nella vita reale Helly è la figlia del Ceo di Lumen; Dylan tradisce sé stesso con la sua stessa moglie; Irving sogna e poi dipinge un corridoio nero con in fondo una porta, che viene dalla sua vita dentro la Lumen ma di cui non conosce il significato.
Non vi bastano questi intrecci misteriosi? Allora, Mark scopre che la moglie che pensa morta, che ha dovuto riconoscere all’obitorio dopo l’incidente d’auto, in realtà è viva e lavora per la Lumen. La Helly esterna, la dirigente Lumen, si intrufola tra i personaggi ‘scissi’ con la sua propria coscienza e vive un’avventura amorosa con Mark – perché? E chi lo sa, mistero – mentre Irving ha una storia d’amore gay con un altro impiegato Lumen, che riesce a rintracciare nella vita esterna anche se entrambi non sanno bene cosa dirsi. Nella seconda stagione poi compare un personaggio nuovo, una dirigente Lumen fredda e calcolatrice che, però, è anche una bambina di dodici anni. “Perché sei una bambina?”, gli chiede Dylan. “Per via di quando sono nata”, risponde lei. Ah, giusto, un’ultima complicazione: c’è un gruppo di protesta che nella vita reale prova a indagare sui metodi della Lumen, che prima riesce a far uscire Mark, Dylan, Helly e Irving mantenendoli ‘scissi’: vedono per la prima volta il cielo, vedono per la prima volta altre persone; e poi prova a togliere il chip a Mark per mandarlo a lavoro pienamente cosciente, come un agente segreto. Che ci sia qualcosa sotto è chiaro, e vogliamo sapere di cosa si tratta. In questo senso: missione compiuta Ben Stiller.
Se vi piacciono le serie in cui perdervi senza la certezza di ritrovarvi, ‘Severance’ fa per voi. Sperando che non diventi una serie che dà una risposta facile e per forza di cose deludente, né che meni il can per l’aia troppo a lungo. Sperando, anche, che la nostra realtà non finisca per somigliarle al punto da toglierle ogni mistero e possibile forza innovativa.