Con l'auspicio, che l’Orchestra della Svizzera italiana osi un po’ di più lasciare il repertorio che piace al pubblico per qualche via più impervia
L’inverno 1784-1785, che Mozart ha trascorso a Vienna, è contrassegnato sull’elenco Köchel da quattro capolavori: i due quartetti K 464 e 465, i due concerti per pianoforte e orchestra K 466 e 467, che sono fra gli esiti più alti della musica occidentale.
Una premessa necessaria per spiegare l’emozione del vecchio melomane davanti alla splendida esecuzione del re minore K 466 offerto della giovane pianista Marie-Ange Nguci, che gli ha fatto rivivere l’emozione del primo ascolto, settant’anni con Clara Haskil sul palco della Tonhalle di Zurigo. Poi lo stupore per le peculiarità dell’Auditorio che sembra proprio avere le dimensioni e i pregi acustici per un’opera che svela la dialettica musicale del Settecento, tesa fra aspirazioni sinfoniche e cameristiche. Infine la consapevolezza di quanto Mozart sappia rivelarci le complessità del secolo di Kant e De Sade, proprio mentre sta per scoppiare la Rivoluzione francese ed entrare in funzione la ghigliottina.
Poi il programma ha fatto un balzo nella seconda metà dell’Ottocento in un repertorio, che ha richiesto alla nostra piccola orchestra, con i consueti trentatré archi e nove legni di schierare ben dodici ottoni e tre percussionisti. In apertura una breve ouverture di Giovanni Bottesini (chi era costui?), poi la notissima ‘Danse macabre’ di Camille Saint-Saëns e sei scene dalla suite ‘Il lago dei cigni’ di Piotr Il’ic Cajkovskij.
Più che l’originalità del programma, ricorderò la forma smagliante dell’Orchestra, che sta passando da un riconoscimento prestigioso all’altro e ne è consapevole. Poi la conferma del valore del direttore Robert Trevino, che si era rivelata nel Concerto delle Officine dello scorso dicembre.
Mi sembra allora di poter riproporre l’auspicio, che l’Orchestra della Svizzera italiana osi un po’ di più lasciare il repertorio che piace tanto al pubblico e percorrere qualche via più impervia, affrontando il repertorio del Novecento e quello contemporaneo, in ossequio al pensiero che Thomas Mann espresse nel suo Doctor Faustus: “La dissonanza esprime tutto ciò che è serio, elevato, devoto, spirituale, mentre l’armonia e la tonalità sono riservate al mondo della volgarità e del luogo comune”.