laR+ L’intervista

Margherita Vicario: fu, finalmente, vera ‘Gloria!’

Film ‘di militanza’ dedicato alle musiciste che la Storia ha nascosto, in sala dall'11 aprile. A colloquio con l'attrice e cantautrice, ora anche regista

Margherita Vicario, regista di ‘Gloria!’, in concorso all’ultima Berlinale
(E. Nerboni)
10 aprile 2024
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Nell’albergo che guarda Locarno dall’alto, lei siede dove qualche estate fa era seduto Dario Argento. «Sì? Che paura!». Da quella dell’Orso a quella del Pardo, Margherita Vicario sta girando le capitali del cinema come fosse il tour del suo ultimo disco, e in un certo senso così è. Attrice, cantautrice, ora anche regista, Gloria!’ è il suo primo film, oggetto di concorso all’ultima Berlinale. Anche le musiche sono di Margherita, e lei le porterà presto dal vivo. E il cerchio che porta al tour, che ha il titolo del film, è chiuso.

Ambientato alla fine del ’700 nell’istituto femminile di Sant’Ignazio, nel Veneziano, ‘Gloria!’ è la storia della giovane Teresa (Galatéa Bellugi) detta ‘La Muta’, ancor più ai margini di quanto siano le studentesse di musica che popolano la rigida scuola cattolica, e cioè Lucia (Carlotta Gamba), Bettina (Veronica Lucchesi, metà del duo La Rappresentate di lista), Marietta (Maria Vittoria Dallasta) e Prudenza (Sara Mafodda).

Diavolerie

Al Sant’Ignazio succede che Papa Pio VII decida di visitare l’istituto e si debba presto comporre musica nuova in onore del pontefice: lo squallido maestro Perlina (Paolo Rossi) è in totale e pressoché definitiva crisi creativa e a poco serve l’arrivo di una “diavoleria” che dovrebbe aiutarlo nella composizione. È su quella “diavoleria”, uno dei primi pianoforti dell’epoca, che le mani di Teresa si poggiano di nascosto quando scende la sera per produrre una musica rivoluzionaria, risultato della fusione tra le sue intuizioni ritmiche, armoniche e melodiche e la tradizione classica portata dalle giovani educande che suonano con lei. Per dirla con tre lettere, a inizio ’800 Teresa inventa il ‘pop’. Per dirla in altro modo, ‘Gloria!’ è un film modernamente femminista.

Incontriamo Margherita Vicario – faremo lo stesso poco dopo con Jasmin Mattei, che nel film è la temibile Fidelia – nella Locarno piovosa di qualche giorno fa, a qualche ora dall’anteprima al PalaCinema, luogo deputato a festeggiare una coproduzione svizzera che ha visto unirsi Tempesta Film, Rai Cinema e Tellfilm, con il sostegno della Ticino Film Commission. Girato in Italia con parentesi a Malvaglia, Palazzo dei Landfogti, ‘Gloria!’ sarà da domani al CineStar di Lugano, di nuovo al PalaCinema, alla Multisala di Mendrisio e al Forum di Bellinzona.

Nel cast di ‘Gloria!’ c’è anche Elio delle Storie Tese, ma la prima domanda è alla Rocco Tanica: Margherita, come va con questa cosa della regia?

È stata un’esperienza soddisfacente, ma lo sforzo è stato enorme. Io sono abituata a tradurre ciò che scrivo con il mio corpo, la mia voce, la mia faccia, mentre fare la regista è trasformarsi in una specie di Deus ex machina che deve convogliare tutti in un’unica direzione, per un unico messaggio.

La ‘fregola’ di stare davanti alla telecamera, attitudine con la quale dici di essere nata, ha mai chiesto udienza tra un ciak e l’altro?

Un po’ nel film io ci sono, le mani di Teresa quando suonano il pianoforte sono le mie. Il suo è un ruolo che avrei potuto fare, benché la mia età sia più grande di quella del personaggio, ma era impensabile per me poter gestire entrambe le cose.

Se tu avessi anche recitato, quel titolo di giornale che ti definisce ‘la cantante che sa fare tutto’ sarebbe diventato ‘la cantante che sa fare troppo’…

Fare più cose sembra quasi un difetto in Italia. Il nostro, evidentemente, non è un Paese per la multidisciplinarietà. Io ho sempre viaggiato su due binari, se non di più. Dedicarsi a un progetto, darsi anima e corpo, è tentativo che può riuscire oppure no. Nel mio caso, ogni cosa che faccio rispecchia comunque una mia idea profonda, dunque rispecchia me.

In verità, in quel titolo c’è un errore di fondo: la definizione corretta sarebbe semmai “l’attrice che sa fare tutto”, perché la recitazione è il tuo punto di partenza.

Sì, ho studiato da attrice ed è nella natura dell’attrice usare il cervello. Per quanto abbia il corpo come strumento, all’attore è richiesto un gran lavoro mentale. L’attore è anche autore di un film, perché dispone di una propria libertà di creazione. Penso a Paolo Rossi nel mio: esistono i personaggi sulla carta e poi gli attori che danno loro corpo. Dunque, ribadisco la mia convinzione che un attore possa fare tutto, anche scrivere e usare la voce.

Ci sono film sullo sport nei quali, per esempio, i tennisti sembrano tutto tranne che tennisti, ma anche film sul jazz in cui i solisti tengono in mano un sax come fosse una racchetta da tennis. In ‘Gloria!’, per fortuna, tutti sembrano musicisti veri…

È frutto di un grosso lavoro. Venendo io stessa dalla musica, sono abituata a notare le piccole ‘mostruosità’ che di tanto in tanto ci vengono regalate. Volevo che il film fosse trasversale, che potesse piacere agli studiosi, agli addetti ai lavori, ai barocchisti, ai musicisti classici e pure a una 13enne che volesse suonare la chitarra. È servita una preparazione di tre mesi con il violinista e coach friulano Domenico Mason, e tanto lavoro insieme alle attrici.

I due musicisti puri, Elio e Veronica, erano funzionali a questa ‘credibilità strumentistica’?

L’idea di coinvolgerli è stata nel creare un cortocircuito. Tutto il film gioca sulla contrapposizione tra classico e contemporaneo. Elio e Veronica sono due attori appartenenti al pop colto, comunque facenti parti del mainstream italiano. Servivano a dare coerenza a questa incoerenza. Veronica è una grandissima performer nel mondo pop, ma anche una raffinatissima cantautrice e attrice. Così come Elio, che è molto famoso e ha una carriera musicale colta.


Veronica Lucchesi

Quanto di Teresa c’è di Björk in ‘Dancer in the Dark’ di Lars Von Trier?

Beh, il poster di quel film ce l’ho appeso in bagno sopra lo specchio! L’idea che la musica sia una forma di evasione e di protezione nelle situazioni cupe è sicuramente uno dei significati del film. In questo senso sì, Teresa può ricordare Selma.

Lampi sonori, spunti, vibrazioni sono meccanismi anche tuoi? È anche questa la parte autobiografica del film?

Sì, la parte autobiografica è l’immaginazione spinta, ma anche il mio status di cantautrice autodidatta. Ho sempre avuto un grosso limite nel realizzare le mie idee, perché ho sempre avuto bisogno di qualcuno che le suonasse. Fare la regista è forse una forma di realizzazione ancora più forte. Teresa traduce l’idea che anche chi non conosce la musica la può immaginare. Poi servono gli altri per farla esplodere.

“Dedicato a tutte le compositrici che come fiori messi a seccare, sono rimaste nascoste tra le pagine della storia”, si legge a inizio film. Quante ne hai trovate?

Tantissime. Ho svolto una ricerca molto ampia. Sono partita dal 1564, l’anno in cui la prima compositrice firmò un’opera. In realtà le artiste sono sempre esistite, l’arte è una necessità umana che riguarda uomini e donne, sebbene con le donne sempre poco incoraggiate. Penso al fatto che le più grandi poetesse cortigiane equivalevano, bene o male, a prostitute, per la concessione di una vita al di fuori dei vincoli matrimoniali; penso alle donne che si sono fatte suore soltanto per poter studiare e non avevano alcuna vocazione religiosa; penso, in letteratura, agli pseudonimi maschili dietro i quali si celavano scrittrici donne. In questo credo che, sì, ‘Gloria!’ sia un film militante, perché siamo solo all’inizio di un cambiamento. E dopo tutto questo, qualcuno ancora si chiede se possano convivere carriera e vita privata...

Vicario è un cognome importante nel mondo del cinema. Ci sono uffici stampa che chiedono ai giornalisti di non fare domande sulle mamme o sui papà, perché a qualcuno dà fastidio. Non è il tuo caso…

La mia è una fortuna, è vero, vengo da una famiglia di professionisti di cinema e televisione. Mi hanno dato tutti i consigli di cui avevo bisogno e mi hanno sostenuto tantissimo nella mia musica, espressione più intima e personale. È vero che ovunque io mi giri ho un parente regista, ma ‘Vicario’ non è un cognome così pesante, anzi, corrisponde a grandi professionisti e accende sempre un sorriso sul viso di chi lo scopre. Chi ha lavorato coi Vicario è contento di conoscerne un’altra. Dal punto di vista creativo, io beneficio di tutti i lati positivi.


Le protagoniste di ‘Gloria!’

Da ambassador italiana di Keychange hai dichiarato che per una donna in questo campo ci vuole il doppio della fatica...

Preferisco definire Keychange con il motto secondo il quale il talento è equamente distribuito e le opportunità no. Il movimento si occupa di tenere sempre vivi i dati su questo aspetto, non solo nella musica, anche nel cinema. Non ne faccio una questione ideologica, ma scientifica.

E hai dichiarato che nessuna è come Beyoncé. C’è una Beyoncé del cinema?

Nel cinema potrebbe essere Alice Rohrwacher, ma mi piacciono anche Valérie Donzelli e Phoebe Waller-Bridge, registe che scrivono e interpretano. Di Beyoncé, a parte i fronzoli, è la voce che colpisce. Un’altra artista del cuore è Fiona Apple.

Per finire: a quando Sanremo?

Eh… Sanremo è una faccenda complicata. Sarei felice un giorno di andarci. L’importante è farlo con una canzone scritta di proprio pugno e di cui si è contenti. Tanto vale attendere, io sono totalmente fatalista: come dice mia nonna, “non cade foglia che Dio non voglia”, e io a mia nonna dò sempre retta.

Jasmin Mattei

Il mio ‘piccolo miracolo’

È grata al Ticino. Anzi, è grata «a questa famiglia ticinese che mi ha accolta quindici anni fa con grande affetto e curiosità, facendo per me quel che non sarebbe potuto accadere in Germania, dove abitavo prima e dove ero una tra mille attrici 35enni». È felice, sente di aver vissuto «un piccolo miracolo», ci dice prima dell’anteprima locarnese. La Germania è tornata, nella vita di Jasmin Mattei, sotto forma di Berlinale. «Il percorso di un attrice o di un attore è segnato da lavori di diversa grandezza. A volte ci vuole quel pizzico di fortuna per lavorare su quel progetto che, si spera, possa aprire un’ulteriore porta verso altri lavori. Ho sempre avuto piccole perle e chicche qua e là; questo lavoro, il primo in Italia, mi ha regalato un personaggio che va ben oltre la singola scena, e che accompagna la storia».

La sua Fidelia, in ‘Gloria!’, è a capo dell’istituto. È la rigidità del luogo e del tempo fatta persona ed epoca, un’inflessibilità che nel film va spassosamente in frantumi sul finale e poco prima, nel dramma che anticipa la conclusione. Jasmin è collante aggiunto alle musiciste, già ‘incollate’ di loro per copione: «Sarà che sono cresciuta con tre sorelle più giovani di me e vivo questo trasporto molto naturalmente, ho provato grande vicinanza verso le ragazze, e grande gioia nel vederle amalgamarsi dal punto di vista recitativo, fino a diventare sorelle. Loro sono il cuore caldo del film, che io ho vissuto da privilegiata».

Mattei, vista e apprezzata in ‘Cronofobia’ di Francesco Rizzi (2018), ‘Love me tender’ di Klaudia Reynicke (2019) e, nel 2024, in ‘Electric Fields’ di Lisa Gertsch, ringrazia Margherita Vicario per la vicinanza professionale («Il suo essere anche attrice ci ha concesso lo spazio per trovare nel personaggio quel qualcosa in più») e auspica per sé «lavoro, lavoro, lavoro! Vorrei lavorare tantissimo. Ma essendo arrivata così tardi al cinema, non posso che essere sorpresa e grata. Ora mi trovo dove nemmeno i miei sogni mi permettevano di essere. Mi piacerebbe fare altri film, in altri Paesi, in altre lingue».


E. Nerboni
La ticinese Jasmin Mattei è Fidelia

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