laR+ L'intervista

La Ferocia maschile sul palco del Lac

Ispirato all’omonimo romanzo di Nicola Lagioia, Premio Strega nel 2015, a Lugano i prossimi 26 e 27 marzo. Abbiamo incontrato i registi

Martedì 26 e mercoledì 27 marzo

Nel 2014 si fecero conquistare dalla lettura di ‘La Ferocia’, il libro di Nicola Lagioia che si aggiudicò il prestigioso Premio Strega nel 2015, ma solo dopo quasi un decennio, come un buon vino lasciato a decantare, Michele Altamura e Gabriele Paolocà hanno deciso di portare questo capolavoro in scena. Da Bari a Cuneo, lo spettacolo ‘La Ferocia’, ispirato all’omonimo romanzo e ideato dalla compagnia VicoQuartoMazzini, ha calcato i palchi di mezza Italia prima di mettere il punto conclusivo al Lac di Lugano, domani e mercoledì.

Un ponte tra letteratura contemporanea e teatro

Mentre alcuni si rifugiano nella sicurezza delle opere classiche come Linus nella sua coperta, la compagnia ha sfidato sé stessa, addomesticando un tentacolare romanzo contemporaneo che dissotterra le dinamiche del potere all’interno delle strutture familiari e sociali di una famiglia a dir poco machiavellica: i Salvemini. «Abbiamo scelto un romanzo contemporaneo perché sentiamo proprio necessario in questo momento storico ricreare quel ponte tra la letteratura, gli autori viventi e il teatro», inizia Altamura, il portavoce del duo di registi. «Nel processo di adattamento, abbiamo collaborato con Linda Dalisi, che ne ha setacciato la trama, ed è stata una vera e propria immersione nel romanzo. Abbiamo cercato di capire come parlasse a noi e il modo migliore di restituire al pubblico un romanzo così ricco di sfaccettature».

Il palcoscenico dei Salvemini

Sospeso tra il noir e il racconto familiare, con un ventaglio di intrighi e ambizione da moderno ‘Macbeth’, la storia si apre con la tragica morte della figlia di Vittorio Salvemini, rinvenuta sulla provinciale che collega Bari a Taranto, che diviene un catalizzatore per svelare le tensioni latenti all’interno della casa. «I Salvemini vivono in un modo che è al confine con la criminalità, ma vedono il luogo della famiglia come luogo del ricatto e, allo stesso tempo, come luogo della tragedia. Qualcosa che accomuna tutti gli spettatori dall’antica Grecia fino a oggi». Le dispute familiari fungono da linguaggio universale per trasmettere un’intima narrazione allo spettatore. D’altronde, nulla unisce gli esseri umani nel corso dei secoli, tra terre lontane e usanze diverse, quanto il rancore verso i parenti. Oltre la narrazione, la scenografia di ‘La Ferocia’, firmata da Daniele Spanò e illuminata da Giulia Pastore, trasforma lo spettacolo in un quadro di Edward Hopper che trabocca dalla sua stessa cornice, oscillando tra realtà e metafisica. «C’è tutto un lavoro di cucitura, di approfondimento che ci ha portato a creare dei quadri utilizzando le parole di Lagioia. L’intero spettacolo prende vita all’interno di ciò che abbiamo immaginato come la dimora dei Salvemini. All’interno e all’esterno di quella casa, a volte in maniera realistica, a volte in maniera magica, si svolge tutto lo spettacolo».

La ferocia come luogo dei maschi

Un palco quasi astratto invaso da ben sette uomini e una sola donna che però, parafrasando Agamennone, “ha il cuore maschio” quanto quello della sua Clitennestra, un po’ troppo ardito per l’epoca ellenica. La bassa percentuale di progesterone in scena ha uno scopo ben preciso per Altamura: «La ferocia rappresenta anche il luogo dei maschi, e dico maschi con intenzione, perché rappresenta il luogo di un mondo profondamente patriarcale. Quindi, tutto il discorso sul femminile, e il suo rapporto con il maschile, è molto forte nell’opera, e si percepisce chiaramente la sua importanza e rilevanza».

Un caleidoscopio di personaggi intrinsecamente conflittuali la cui moralità ambigua è così pervasiva che ci si domanda come possano essere stati portati sul palco senza qualche bacchettata ammonitrice sulle dita o una smussatura in fase di produzione. «Cerchiamo sempre di vedere in maniera prismatica i personaggi, senza schiacciarli con il nostro giudizio. Preferiamo mostrarli per quello che sono e concentrarci soprattutto sui conflitti che li caratterizzano, sul loro modo di apparire e sulle parole che pronunciano. Vogliamo davvero dare ampio spazio agli spettatori per immergersi nel mondo di questi personaggi. Nessuno è dalla parte dei Salvemini, però in un qualche modo dobbiamo difenderli, perché è così il teatro che ci piace».

Ed è la dicotomia tra bene e male che porta lo spettatore a identificarsi con i protagonisti e a trasformarsi da fruitore passivo a partecipante attivo. «In effetti, la sensazione più frequente che proviamo dal palco durante lo spettacolo è di tensione», conclude Altamura. «Gli spettacoli che secondo noi vengono bene sono quelli in cui gli spettatori lavorano, perché il teatro non avviene solo sul palco o in platea, ma sempre in quel territorio intermedio che li unisce. È lì che attori e spettatori possono veramente incontrarsi».

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