la recensione

Osi al Lac, la via austro-ungarica della musica

L'Orchestra della Svizzera italiana diretta da Gergely Madaras si è esibita il 30 marzo scorso in pagine di Bianchi, Bartók, Haydn e Ligeti

Il violista Rysanov (a sx) e il direttore Madaras
(© Osi/K. Kikkas)
2 aprile 2023
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Exordium per orchestra (2015) di Oscar Bianchi (un brano commissionato dall’Osi, che non avevo ancora ascoltato), Concerto per viola e orchestra (1945) di Béla Bartók, Sinfonia n. 26 (1765) di Joseph Haydn, Concert Românesc (1951) di György Ligeti. Spaziava su 250 anni il programma del concerto dell’Orchestra della Svizzera italiana (Osi) diretta da Gergely Madaras, ed era formato da quattro opere difficili da collegare con un tema conduttore.

Exordium è una composizione breve, poco più di dieci minuti, impiega un’orchestra completa con parecchie percussioni e un pianoforte, che si sentono nitidamente. Ma non è musica descrittiva, non riproduce rumori della città o della natura. Il compositore cerca di dare alle sue emozioni una forma musicale che possa colpire l’ascoltatore. Mi dichiaro colpito: ho rimembrato un testo biblico, “Sentinella, quando finisce la notte? La sentinella risponde: arriva l’alba, ma presto anche la notte” (Isaia 21-11,12), poi ho ripensato l’inquieta, seducente contemplazione del baratro delle cose che non conosco.

La vita di Béla Bartók ha avuto un finale tragico. Nel 1940 l’occupazione nazista dell’Ungheria lo fa emigrare negli Stati Uniti, dove nel 1945 muore di leucemia e lascia incompiuto anche il suo Concerto per viola. Nel 1949 esso avrà la prima esecuzione, con una partitura raffazzonata, che privilegia il ruolo del solista. Giovedì scorso il violista Maxim Rysanov ha esibito sicurezza tecnica e bellezza di suono eccellenti, che il pubblico del Lac ha molto apprezzato. Immancabile quindi il bis, che era stato preparato con direttore e orchestra: purtroppo una musica banale, che, venendo meno al dovere di cronista, ho rinunciato a informarmi cosa fosse.

Joseph Haydn, fedele servitore della corte di Vienna, ha scritto 104 Sinfonie, che, forse per le loro dimensioni cameristiche, sono tutte congeniali alla nostra piccola grande Orchestra. Giovedì scorso è andata in scena la n. 26, l’ultima in soli tre tempi, che Haydn destinò alle celebrazioni della Settimana Santa. È stata un’esecuzione di una bellezza mozzafiato, oso dire trafitta da una trascendenza dell’ispirazione, che, salvando il dovuto rispetto al bravissimo Gergely Madaras, mi è sembrata imposta dall’orchestra al direttore.

Il Concert Românesc che György Ligeti ha composto a 28 anni è davvero un modo gradevole di chiudere un concerto oltre che una conferma dell’importanza delle radici popolari nella musica colta ungherese. Non è certamente una musica d’avanguardia, ma, essendo stato proibito sotto il regime stalinista di Budapest, ha almeno un certificato di autenticità.

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