cinema

È morto il regista spagnolo Carlos Saura

Figura fondamentale della cultura spagnola, aveva 91 anni. Fra i suoi film La caza, Peppermint frappé, Elisa, vida mía

Carlos Saura
(Keystone)
10 febbraio 2023
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Prima di Pedro Almodovar e dopo Luis Bunuel, è stato certamente Carlos Saura il regista spagnolo più conosciuto nel mondo. Nato a Huesca in Aragona il 4 gennaio 1932, se ne è andato oggi, senza più fiato in corpo, all’età di 91 anni, proprio alla vigilia del premio più ambito: il Goya alla carriera che tutto il cinema iberico gli conferiva con un omaggio, perfino tardivo, alla sua arte.

Tre generazioni molto diverse di spettatori lo hanno scoperto, conosciuto, amato: la platea internazionale che ne vide il talento durante il periodo franchista quando, a nemmeno 30 anni, il suo esordio con il neorealista "Los Golfos" (I monelli) lo rivelò nel 1960 al festival di Cannes, poi censurato per due anni in patria. Il pubblico spagnolo degli anni ’70 colse nei suoi lavori più personali - intinti nel surrealismo all’ombra di Bunuel ("Cria Cuervos" e "Mama cumple 100 anos") - una robusta voce contro il franchismo morente. Il cinema mondiale ne celebrò infine la svolta pittorica e interdisciplinare quando abbracciò le suggestioni del cinema-balletto con la grande trilogia sulla danza degli anni ’80 ("Bodas de sangre", "Carmen", "El amor brujo") ispirata dal sodalizio con Antonio Gades.

Negli ultimi vent’anni la sua produzione prese un ritmo frenetico con un film all’anno, sempre più legata al gusto della messa in scena, della sperimentazione pittorica, del rapporto con la Storia e le arti. Amava moltissimo il suo "Bunuel e la tavola di re Salomone" del 2001 in cui metteva in scena il suo maestro in compagnia degli amici di gioventù Salvador Dalì e Garcia Lorca in un viaggio onirico attraverso la gioventù, il surrealismo, la memoria e il mito.

"È il mio film più bello e personale - ha detto una volta Saura - ma piace solo a me. Sono fermamente convinto che Bunuel lo avrebbe adorato, anche perché nasce dalle mie conversazioni con lui. Ma probabilmente ne resteremmo i due soli estimatori". Ebbe maggior successo con il precedente "Goya" del 2000 e "Io, Don Giovanni" del 2009, ma non smise di lavorare fino agli ultimi anni, col documentario su Renzo Piano del 2016.

Nato in una famiglia liberale e borghese alla vigilia della Guerra civile, trascorse i primi anni in compagnia dei genitori (un funzionario governativo e una pianista di talento) tra Barcellona, Valencia e Madrid finché, con la vittoria del dittatore Francisco Franco, fu rispedito a Huesca dai nonni, nazionalisti e conservatori. Degli anni della guerra civile e del brusco cambiamento di educazione, conservò sempre un ricordo vivido e drammatico, che certamente influì sulle sue scelte ribelli, stimolate dal fratello maggiore Antonio, affermato pittore astratto di scuola surrealista.

Entrato alla scuola sperimentale di cinema a vent’anni, si diploma dopo quattro anni col suo primo documentario, "Il pomeriggio della domenica" e alternerà l’insegnamento e la regia di cortometraggio fino ad approdare - con la guida di Bardem e Berlanga - al suo primo lavoro compiuto, "Cuenca" del 1958. Tre anni prima aveva visto, a una retrospettiva a Montpellier, il cinema dell’esiliato Luis Bunuel e conosciuto colui che sarebbe stato il suo mentore. Questa è certamente una delle chiavi per entrare nell’universo creativo di Carlos Saura che a Bunuel avrebbe reso omaggio in pellicole poco gradite al franchismo per temi (la dissacrazione della famiglia, l’erotismo malato, l’ombra della morte) e stile (l’onirismo, il surrealismo) come "La caccia" (Orso d’argento a Berlino nel 1966), "Il giardino delle delizie", "Anna e i lupi", "La cugina Angelica".

Se Bunuel fu maestro, Geraldine Chaplin fu la sua musa fin da "Peppermint Frappé" del 1967 quando cominciò un sodalizio artistico e sentimentale che avrebbe segnato tutta la carriera dell’uomo e del regista. Che peraltro aveva già un matrimonio alle spalle, altri due ne avrebbe vissuti in seguito con ben sette figli.

Il contestato Orso d’oro a Berlino del 1981 con "Deprisa Deprisa" segna uno spartiacque importante nell’opera di Saura. Il Caudillo Franco era morto da sei anni e la Spagna si apriva lentamente alla democrazia. Il regista politicamente impegnato cedeva il passo al cantore della memoria e delle tradizioni, temi espressi attraverso la passione per un’idea coreografica della rappresentazione, il culto della musica popolare, il piacere del cinema come pittura di emozioni.

A questo Saura avrebbe dedicato tutta la seconda parte della vita conquistando onori ovunque, ma in fondo considerato in patria ormai come un "padre nobile", dedito al calligrafismo. In verità il vecchio leone aveva ancora molte frecce al suo arco e lo ha dimostrato con una ricerca incessante sulla forma e l’arte trasfigurata dall’invenzione visiva. Per questo oggi il Premio Goya alla Carriera pone il sigillo finale alla sua vita. Nell’accettarlo aveva scritto: "Sono stato fortunato nella vita facendo ciò che mi attraeva di più: ho diretto cinema, teatro, opera e ho disegnato e dipinto per tutta la vita".

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