La recensione

James Taylor, un american standard a Milano

Lo hanno atteso due anni ed è sempre la stessa storia d’amore, nella quale il rispetto è reciproco (cronaca di un concerto che non è mai solo un concerto)

Venerdì scorso agli Arcimboldi (la scalettona)
(laRegione)
30 ottobre 2022
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"Ti ho visto qui dieci anni fa; abbiamo fatto la foto insieme ma, non so perché, non è uscita", dice il giovane adulto che dieci anni fa avrà avuto dieci anni. "Allora è valsa la pena aspettare, amico mio", risponde il 74enne James Taylor che ancora, a fine concerto, si ferma a stringere mani, a firmare libri, vinili e chitarre ("È per mio padre, sono qui per lui, io nemmeno so come si tiene in mano", dice un figlio, in coda per l’autografo).

James Taylor all’Arcimboldi è un evento, così come un evento è ovunque suoni James Taylor nel mondo, ancor più dopo la pandemia che ha ritardato il concerto milanese di due anni. Il calore è quello di sempre, dal palco alla platea e ritorno, e il rispetto reciproco altrettanto. L’artista entra in scena da solo, con in testa la coppola di ‘American Standard’, 20esimo suo disco pubblicato due anni fa, Grammy al Best Traditional Vocal Album, un songbook di classici della tradizione statunitense dal quale, all’inizio della seconda parte di concerto, l’interprete regalerà ‘Teach Me Tonight’.

A Milano (dappertutto) Taylor apre con ‘Something in the Way She Moves’: "Questa l’ho cantata davanti a Paul McCartney e George Harrison", ricorda subito dopo, andando con la mente al soggiorno londinese per l’audizione alla Apple Records, dalla quale scaturirono l’album eponimo del 1968 e, soprattutto, ‘Something’ dei Beatles, che per la traccia 2 di ‘Abbey Road’ (1969) presero ‘in prestito’ pari pari l’incipit del brano di quel giovane statunitense di belle, bellissime speranze. Profondo, misurato, autoironico, gioca come di consueto con l’enorme scaletta scritta in bianco su fondo nero; gioca anche con la propria voce, che l’età ha privato delle note più alte e limpide, stimolando in lui splendide soluzioni alternative che il corpo asseconda, quasi arrampicandosi, o danzando con esse. Senza pianoforte, ed è un peccato, gran parte del lato sinistro del palco lo occupa la batteria Steve Gadd, che è uno show a sé; al centro, per la ritmica dei sogni, il fido Jimmy Johnson al basso elettrico; all’estremità opposta a Gadd, uno strepitoso Michael Landau alla chitarra.

‘There is a young cowboy…’

"Fortuna e fama, che gioco curioso / Perfetti sconosciuti ti chiamano per nome / Pagano bei soldi per ascoltare ‘Fire and Rain’ ancora / E ancora, e ancora". È la vita d’artista raccontata in ‘That’s Why I’m Here’, brano che dà il titolo all’album del 1986; brano nato – Taylor così lo presenta – dopo la morte di John Belushi: "Quel giorno cambiò radicalmente la mia vita". Su ‘Don’t Let Me Be Lonely Tonight’, sempre più un american standard, parte un applauso da studio televisivo senza che si accenda la scritta ‘Applausi’; altrove, il pubblico proprio non ce la fa a non applaudire a metà pezzo, tanta è forte l’emozione. Alla fine, nessuno verrà privato dei classici – da ‘Mexico’ a ‘Your Smiling Face ’, da ‘Country Road’, a inizio serata, a ‘You’ve Got a Friend’, verso la fine, con le armonie di Kate Markowitz, Andrea Zonn (anche al violino) e Dorian Holley, stretti intorno allo zio James in un affettuoso abbraccio vocale. Ma anche i cercatori di pepite sono accontentati: con artificio tecnico, su ‘Long Ago and Far Away’, da ‘Mud Slide Slim and the Blue Horizon’, compare Joni Mitchell in forma di traccia audio, ai cori come in quel disco del ’71 ("Abbiamo isolato la sua voce, praticamente è un fantasma"). Quanto a pepite, ‘Copperline’ lo è sempre stata e ancora – d’oro – lo è.

L’ultima canzone non è ‘Song For You Far Away’, come recita la scalettona nera, bensì ‘You Can Close Your Eyes’, sempre da ‘Mud Slide Slim’. E per quanto grande sia il brivido finale, abbiamo ancora nelle orecchie e negli occhi ‘Sweet Baby James’, stavolta per band al completo: presi da eterna gratitudine e riconoscenza, ci assale la sensazione di averne ascoltata la versione più bella di sempre.


laRegione
Da sinistra: Jimmy Johnson, Steve Gadd, James Taylor, Andrea Zonn, Kate Markowitz, Dorian Holley e Michael Landau

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