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‘Dopo la prova’, l’umanità del teatro in scena

Dopo aver seguito le prove dello spettacolo, intervista a regista e interpreti della nuova produzione del Teatro Sociale di Bellinzona

(Luca Del Pia / TSB)
2 maggio 2022
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Si era partiti dal testo teatrale, per una prima lettura seduti intorno a un tavolo in mezzo al palcoscenico altrimenti spoglio. Per alcune settimane abbiamo seguito le prove, raccontando quel che capitava; adesso che tra pochi giorni ‘Dopo la prova’ di Ingmar Bergman debutterà al Teatro Sociale di Bellinzona – in scena da giovedì 5 a sabato 7 maggio – e lo spettacolo ha quasi trovato la sua forma definitiva, torniamo con il regista Andrea Chiodi e gli interpreti Antonio Ballerio, Mariangela Granelli e Margherita Saltamacchia a parlare di quel testo.

Un testo, quello di ‘Dopo la prova’ – versione teatrale di un film per la tv che il regista svedese aveva realizzato negli anni Ottanta – che Antonio Ballerio aveva in casa. «Adesso non l’ho più perché l’ho prestato a un’attrice che non me l’ha più ridato…». Poi un incontro casuale con il libraio del Lac, Luca Pascoletti, che aveva visto la versione di Gabriele Lavia di qualche anno fa. «Con Margherita (Saltamacchia, ndr) è da tempo che ci diciamo di voler fare qualcosa assieme e così ho buttato là l’idea». Così Ballerio ha ripreso in mano il testo e, ammette subito, «rileggendolo non mi ha entusiasmato, così come neanche il film, anzi quello ancora peggio». Poi «abbiamo iniziato a lavorarci e la magia è quella: ci sono delle persone che ci aiutano a capire la densità di un testo che a una prima lettura può risultare noiosetto, superato. Qui ci troviamo di fronte all’eterno problema del teatro, della messa in scena, dell’umanità: è un testo che ti dà delle emozioni e che ti porta a riflettere sulla condizione umana».

Ballerio interpreta Henrik Vogler, un anziano e rispettato, per non dire venerato, regista teatrale che sta lavorando a una messa in scena del ‘Sogno’ di Strindberg. Come interprete ha voluto Anna Egerman, figlia di Rakel, una grande attrice – e sua amante – nel frattempo morta. Lo spettacolo si muove nel confronto tra Vogler e le due donne: Anna, che dopo la prova torna sul palco per cercare – o è tutta una scusa? – un braccialetto perso; e Rakel che gli appare in una sorta di sogno. «Quando l’avevo letto la prima volta non avevo capito che era così psicologico» spiega Margherita Saltamacchia che in scena è la giovane Anna. «Soprattutto la psicologia del mio personaggio mi ha messo in difficoltà perché non riuscivo a trovare la chiave per restituire al pubblico una parola diversa da quella che dico: Anna non dice quello che pensa, è machiavellica, dice una cosa ma ne pensa un’altra perché mira a qualcosa». Grazie al lavoro con il regista e gli altri attori «penso di aver capito come affrontare questa Anna così complessa, sfaccettata, con i ricordi di un’infanzia tremenda… è stato un lavoro molto interessante anche se non immediato».

Il rapporto tra Henrik e Rakel è invece più sincero. «Lei lo mette a nudo» spiega Ballerio, sottolineando anche lui l’importanza della sintonia che si crea sul palco: «Con Margherita non avevo mai lavorato in scena, solo qualche lettura e lavoro per la radio, ed è stata una sorpresa e una scoperta. Con Mariangela (Granelli, che interpreta Rakel, ndr) avevo già lavorato nel ‘Gabbiano’ di Cechov (in scena al Lac nel 2015, ndr) ma avevamo poche scene insieme quindi anche qui è stata una scoperta».

Torniamo al rapporto tra Rakel e Henrik: «C’è qualcosa di molto schietto tra di loro» spiega Mariangela Granelli. «Hanno vissuto tanto e il loro incontro è quasi una resa dei conti: a un certo punto lei lo accusa del fatto di essere stata "internata" per problemi di salute. Ma anche tra di loro il "non detto" è molto: è un testo che ti costringe a capire quali sono le direzioni sotterranee, non puoi recitare quello che c’è scritto ma devi capire quello che c’è sotto. Perché Rakel torna in teatro? Che cosa vuole veramente da lui?». La prima lettura del testo come è stata? «Mi è parso un testo estremamente teorico, ma è il bello del nostro lavoro: incarnare il testo, farlo diventare corpo, sudore, risate, emozioni». Il personaggio di Rakel «è pericoloso perché è un attimo sbagliare misura: è una donna ormai alla deriva, sempre ubriaca, non recita più perché nessuno si fida di lei. Una donna fuori dall’ordinario che uno può tendere a esagerare, a calcare la mano ma poi, con Andrea, ho capito che non c’è bisogno di strafare per restituire questa donna fuori dagli schemi».

È una delle sorprese che – a dirlo adesso è il regista Andrea Chiodi – arrivano «sempre quando un testo prende voce grazie a degli attori». Perché «gli attori, lo dice proprio Bergman, sono degli animali creativi, degli artisti e a me piace vedere cosa accade, che cosa possono portare di loro nel testo». Dove quel "di loro" può voler dire tante cose, «la storia, la fisicità, la voce, la presenza: con un attore come Antonio Ballerio lo spettacolo può prendere una strada un po’ diversa rispetto a un altro attore ed è questa la cosa che mi piace di più, farmi sorprendere da cosa accade». Chiodi cita di nuovo Bergman: «Il regista alla fine deve stare un po’ zitto perché deve guardare cosa accade e poi prendere; lasciare l’attore libero e prendere». Nel suo caso, si tratta di prendere «soprattutto cosa c’è dentro: se capisco che uno mi sa portare una grande commozione allora dico di lavorare su quella commozione, se uno invece mi sa portare la leggerezza allora lavoriamo su quella leggerezza e così via».

Leggere la prima volta il testo di Bergman è servito appunto a questo, a «capire le loro voci, il loro corpo, che cosa potevano dare a me affinché io lo potessi restituire a loro per fare meglio quello che devono fare». Perché il lavoro del regista «è questo, mettere a proprio agio gli attori perché sono loro che vanno in scena, mica io: sono dei matti, ad andare in scena, io non ce la farei mai». Si tratta, aggiunge, «di trovare gli strumenti per permettere loro di fare questo gioco al meglio, aiutarli: raramente impongo qualcosa; chiedo, ovviamente, ma chiedo quello che credo loro possano darmi».

‘Dopo la prova’ parla di umanità, di psicologia, di rapporti tra persone. E ovviamente di teatro, con riferimenti, citazioni e una riflessione più generale su questo mestiere. «È una cosa che mi interroga molto: il nostro è un mestiere che è anche una vocazione» spiega Chiodi. «È come se non ne potessimo fare a meno, ma a che prezzo? Questo Bergman lo sa benissimo perché è la grande domanda che mette nel testo: al prezzo di Anna, che è disposta ad abortire per avere quel ruolo? Al prezzo di ridurmi alcolizzata come Rakel? Di Henrik che vive solo nel teatro e finite le prove e resto seduto, solo, sul palcoscenico?». Chiodi cita poi una battuta di Vogler «che è abbastanza agghiacciante: "Nel palcoscenico la cerco anch’io la verità, nella vita no grazie"».

C’è tantissimo teatro, in ‘Dopo la prova’, «ma non perché svela dei meccanismi, ma perché va a indagare sulle umanità dei teatranti e questo è faticoso ma anche universale».

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