Spettacoli

My Sunny Maad, al cinema l’Afghanistan che non ti aspetti

In sala il film della regista ceca Michaela Pavlátová, con protagonista una giovane europea che si trasferisce per amore a Kabul

29 aprile 2022
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L’animazione sembra una tecnica particolarmente adatta a raccontare l’Afghanistan, a giudicare da alcuni bei film europei che si sono visti in questi anni: il francese ‘Le rondini di Kabul’ di Zabou Breitman ed Eléa Gobbé-Mévellec, tratto dal romanzo dell’algerino Yasmina Khadra, il documentario danese ‘Flee’ di Jonas Poher Rasmussen, candidato a tre Oscar, e ‘My Sunny Maad’ della regista ceca Michaela Pavlátová da alcuni giorni nelle sale della Svizzera italiana. C’è evidentemente una maggior apertura del pubblico verso il cinema d’animazione ingiustamente considerato "solo per bambini", ma forse anche la capacità del disegno di dare il giusto spazio alle emozioni ricorrendo anche a tecniche diverse, soprattutto di mostrare l’orrore senza ferire la dignità delle persone.

Al contrario di ‘Flee’, basato sul racconto di un giovane profugo che dopo molte traversie è arrivato in Europa, ‘My Sunny Maad’ non è un documentario, anche se è tratto dal romanzo di una giornalista ceca, Petra Procházková, che ha sposato un afghano, esattamente come la protagonista Helen. Giovane studentessa bionda, insoddisfatta dalla vita e dalle opportunità che le offre la società ceca ed europea, si innamora di Nazir, un afghano venuto a Praga per studiare economia.

È il grande amore della sua vita e in pochi minuti del film la ritroviamo a Kabul, con il nome di Herra e sposata con Nazir. Per lei si tratta della sua nuova casa, della sua nuova famiglia; per lo spettatore, l’apparizione di nuovi curiosi personaggi che daranno un buon ritmo al film: il saggio e progressista nonno, un ex fotografo dei tempi dell’Afghanistan aperto e tollerante, la suocera che come tutte le suocere fatica a ritenere Herra all’altezza di badare a Nazir, la cognata Freshta, suo marito Kaiz che si arrabatta vendendo al mercato polli malconci e i loro quattro figli, tra cui la adolescente Roshangol.

Il film è ambientato nel bel mezzo della presenza statunitense ma non si sofferma più di tanto sul contesto storico, riassumendo con alcune vecchie foto le libertà dell’Afghanistan pretalebano e ricordando alcuni degli eventi del periodo, come – sembra un’altra epoca – l’uccisione di Osama bin Laden. Vediamo il crescente malcontento verso gli occidentali, ostilità che porta alcuni ad appoggiare i talebani e preparare il loro ritorno.

Intanto scopriamo, attraverso lo sguardo della protagonista, la società afghana con le sue regole alle quali tutti si devono uniformare: Herra/Helen si ritrova così a dover indossare il burqa fuori casa, a dover uscire sempre accompagnata, a non doversi mostrare agli eventuali ospiti. Regole che scopriamo attraverso uno sguardo che non è né quello di una straniera, né quello di una donna afghana, il che è uno degli aspetti interessanti del film: non abbiamo un racconto "interno", che anche nel condannare le storture delle tradizioni afghane le accetta come qualcosa di naturale, ma neanche la facile condanna "dall’esterno" che invece troviamo nelle parole di alcuni operatori umanitari occidentali per i quali Nazir, dopo tante infruttuose ricerche di un impiego, lavora.

Herra e Nazir non riescono ad avere figli: una sciagura che la coppia, unita nonostante tutto, affronta adottando un bambino abbandonato dalla famiglia perché malato. Si chiama Muhammad, il Maad del titolo: dall’enorme testa senza capelli e i muscoli atrofizzati, porta gioia e ironia nella casa e nel film, costringendo lo spettatore a uno sforzo di sospensione dell’incredulità ma anche dando una leggerezza narrativa che non è mai banale o superficiale. Almeno finché la situazione precipita, tra i talebani che iniziano a rialzare la testa, Kaiz che vuole dare in sposa Roshangol a un cugino di quarant’anni. Fino a un finale intenso e a suo modo carico di speranza – almeno finché non si esce dallo spazio cinematografico e si pensa a cosa è successo, in Afghanistan, dopo il recente ritiro statunitense e chiedendosi– in una commistione tra realtà e finzione – che fine avranno fatto i protagonisti di questa vicenda adesso, se saranno riusciti a mettesi in salvo.

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