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Weekend dei quartetti, dalla musica di ieri a quella di domani

LuganoMusica ha ospitato, nel Teatro Studio, il Jack Quartet di New York e lo svizzero Carmina Quartett

Il Quartetto Jack
(Beowulf Scheehan)
1 febbraio 2022
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Dopo un anno a vuoto è tornata la più esclusiva offerta di LuganoMusica: il fine settimana ambito dai migliori quartetti d’archi del mondo, formazioni prestigiose, costrette sovente a esibirsi davanti a migliaia di ascoltatori, che qui ritrovano la dimensione cameristica. Il Teatro Studio è un parallelepipedo di cemento con una settantina di posti a sedere, mai tutti occupati a questi concerti. I musicisti stanno due metri davanti alla prima fila, l’ascolto è diretto, non ci sono problemi di acustica. Nel silenzio gli esecutori possono sentire, non solo metaforicamente, il respiro degli ascoltatori.

Affascinante, come sempre, il cartellone: una prima apparizione per il Jack Quartet di New York, comunque noto da noi perché di casa al Lucerne Festival; il ritorno graditissimo del Cuarteto Casals, spagnolo; una prima apparizione anche per il Carmina Quartett, quartetto svizzero, giunto ormai al suo trentottesimo anno di attività. Ma la pandemia non è finita e ha colpito ancora, non solo chiedendo al pubblico di portare la mascherina. All’ultimo momento il Cuarteto Casals non è potuto venire e l’edizione di quest’anno, con due soli concerti, sarà ricordata per il suo carattere bifronte: cinquant’anni di musica di due secoli fa contrapposti a cinquant’anni di musica contemporanea.

Il Quartetto Carmina ha scelto il tempo della musica rara e seducente: l’op. 20 n. 2 (1772) di Haydn, l’op. 13 (1827) di Mendelssohn e il grande Sol maggiore (1826) di Schubert. Il Quartetto Jack ha scelto il nostro tempo, sommerso dal frastuono di troppa musica riprodotta che ha reso il silenzio prezioso e seducente: “Dead Wasps in the Jam-Jar (iii)”, letteralmente “Vespe morte nel barattolo di marmellata” (2018) di Clara Iannotta, classe 1983; “Memento mori” (1992) di John Zorn, classe 1953; “Celare” (2016) di Cenk Ergün, classe 1978; Quartetto n. 3, “Im Innersten”, di Wolfgang Rihm, classe 1952.

Il Carmina, che accanto al violinista Matthias Enderle e alla violista Wendy Champney, membri fondatori del quartetto, schiera da un paio d’anni Agata Lazarczyk, secondo violino, e Chiara Enderle Samatanga, violoncello, domenica ha deluso assai. “Quattro razionali signori riuniti in amabile conversazione” è la definizione di Goethe del quartetto d’archi. La musica era quella del tempo di Goethe, i quattro strumentisti di assoluto valore, ma la conversazione ha funzionato poco. Capita talvolta e l’ascoltatore non può sempre capire perché.

In compenso l’esecuzione del Quartetto Jack è stata di altissima qualità e resterà nella storia di LuganoMusica. I violinisti Christopher Otto e Austin Wulliman, il violista John Pickford Richards, il violoncellista Jay Campbell sono entrati in sala con un cipiglio aggressivo, quasi si aspettassero un pubblico ostile e, accomodati al loro posto, si sono (finalmente!) tolti la mascherina. Non è la prima volta che ascolto dal vivo questi musicisti che si dedicano esclusivamente al repertorio contemporaneo, ma mai come l’altra sera ho goduto la qualità di un suono ottenuto anche attraverso un impiego variegato di sordine, la forza travolgente di pizzicati in tutte le loro forme. Poi il piacere ineffabile di sentirsi tra ascoltatori tutti sedotti e affascinati.

La cultura occidentale, che con significativa approssimazione diciamo europea, vanta tra i suoi esiti musicali più alti il quartetto d’archi, storicamente cresciuto soprattutto in area tedesca. Ma guardiamo i compositori contemporanei di questo concerto, il programma di sala dà con le date anche i loro luoghi di nascita: Roma, New York, Istanbul, Karlsruhe. Quanto basta a sottolineare un’evoluzione storica irreversibile: dopo secoli di orrori razziali anche noi europei stiamo finalmente diventando un popolo di meticci.

Il lungo, complesso brano di Wolfgang Rihm, nonostante le intenzioni di rendere omaggio a tanti compositori di area tedesca, mi sembra una musica rigorosamente astratta. Molto meno astratta, con evidenti intenzioni narrative l’altrettanto lungo brano di John Zorn, che è riuscito a strappare qualche sorriso agli ascoltatori. Più intriganti i brani recentissimi di Cenk Ergün e Clara Iannotta tesi alla ricerca di leopardiani “sovrumani silenzi e profondissima quiete”. Sembrano trafitti dalla consapevolezza che l’incalzare recente delle scoperte neurologiche ampliano l’abisso affascinante di ciò che non conosciamo.

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