Spettacoli

Emma Dante e la catartica danza della misericordia

Nello spettacolo andato in scena al San Materno di Ascona ci sono tutto l’amore e la violenza delle famiglie immaginate da Emma Dante

(Foto di Masiar Pasquali)

L’ineguagliabile cifra poetica di Emma Dante, che come nessuno sa raccontare il fragile incanto delle vite ai margini, è arrivata a noi questo fine settimana con la durezza del primo freddo e la purezza della neve. Non a caso, perché la tragica storia di ‘Misericordia’ è dura e difficile da sopportare e al contempo si porta appresso il naturale candore dell’umanità, del legame incondizionato tra madri e figli, di una sorellanza necessaria.

In ‘Misericordia’, spettacolo del 2020 visto al Teatro San Materno domenica scorsa e finalista come miglior spettacolo dell’anno ai Premi Ubu 2021 (il 13 dicembre la premiazione a Riccione), ci sono tutto l’amore e la violenza che caratterizzano le famiglie disegnate dalla Dante nel suo universo creativo, c’è la leggerezza della danza che sopravvive alla pesantezza della vita, c’è tutto il sud e la vita periferica, c’è quel letame di De André, dal quale “nascono i fior”.

Come il cantautore genovese Emma Dante ha infatti da sempre saputo trovare le parole, ma soprattutto le immagini, i corpi, la musica, e una lingua universale, per sublimare l’umanità che trasuda da vite imperfette, sporche e disilluse. Lo ha sempre fatto – e lo fa anche in questo splendido spettacolo – con grande cura, amore e delicatezza, e ciò che rende così potente lo stupore che si dipana ai nostri occhi è l’assenza totale di morbosità, di moralismo e buonismo, e anche di sociologismi. Nel gioco ininterrotto tra quotidianità e simbolo, tra vita e rito, tra orizzontale e verticale quattro sedie su fondale nero ospitano quattro anime derelitte, ai margini della società. Sono Nuzza (Manuela Lo Sicco), Anna (Leonarda Saffi) e Bettina (Italia Carroccio), e tra loro si distingue Arturo (Simone Zambelli).

Queste anime perse se ne stanno sedute sulle loro sedie, tra ceste e colorati giochi infantili, cuffie e travestimenti, coperte e scarpe, e un grossissimo sacco dei rifiuti nero.

Le tre donne sono vere e proprie Parche, lavorando con i ferri i loro scialli tutelano la nascita del figlio di Lucia e stabiliscono il destino del fanciullo, tra battute scorbutiche e ripicche spiritose. Sono anche ragazze oscure, che la notte si trasformano in puttane e mettono alla mercé del mondo i propri corpi sformati, volgari. E sempre come Parche, sanno quando tagliare il filo che le lega al bambino.

Arturo (per alcuni aspetti collegabile a quello dell’Isola raccontato da Elsa Morante) è invece un bambino difficile, nato prematuro dopo le violenze del padre sul ventre della madre, morta di parto. Non sa parlare, non sa ascoltare, non sa camminare, il suo sguardo si perde. Fa casino. Non si ferma ed è manesco. Ma sorride, vuole bene alle sue mamme, balla alla musica del loro sferruzzare e dei loro battibecchi vernacolari. Simone Zambelli dà vita a un personaggio indimenticabile, la cui dolcezza è capace di spaccare il cuore. Così leggero da riuscire a prendere i movimenti esasperati delle sue mamme, continuarli e trasformarli in danza armonica.

Un piccolo Pinocchio nato da padre Geppetto (che viene citato nel racconto che ne fanno Nuzza, Anna e Bettina), il falegname che ogni settimana faceva visita a Lucia, riempiendola di botte.

Un Pinocchio difficile da gestire che però nella durata dello spettacolo (1 ora che vola via in un soffio) riuscirà a crescere abbastanza da diventare bambino e rendere meno difficile il distacco.

Sì, perché Arturo se ne andrà, insieme a quella fantomatica e tzigana banda che ama guardare dalla finestra (l’unica del tugurio in cui vivono), con una valigia piena di ricordi costruiti e custoditi dalle sue insofferenti ma adoranti madri. Che per lui vogliono il meglio, che immaginano un futuro fatto di calore e luce.

L’amore in questo spettacolo vince su tutto, sulla miseria e sul dolore. Ed è un amore puro, che nasce incondizionato come un bellissimo fiore tra le sterpaglie. Le tre donne sono miracolose.

Salutato ad Avignone la scorsa edizione con grande entusiasmo, lo spettacolo di Emma Dante arriva a noi a qualche giorno dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una casualità temporale che sottolinea però l’importanza di una misericordia laica, accogliente, non giudicante, da sempre cavallo di battaglia di una delle protagoniste della scena internazionale.

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