Spettacoli

Il dolce aroma del caffè goldoniano

Attualizzazione radicale ma rispettosa, quella del regista Igor Horvat, in scena ancora stasera al Lac e venerdì e sabato al Sociale di Bellinzona

10 novembre 2021
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Andò in scena per la prima volta a Mantova nel maggio 1750, anno fatidico per il suo autore Carlo Goldoni. Già impegnato in quella sua “riforma” che segnò la fine della Commedia dell’Arte nel teatro non solo italiano (i semplici e spesso grossolani canovacci sostituiti da un testo interamente scritto e completo di ogni parte, dalle indicazioni sceniche alle battute di ogni personaggio; le maschere sostituite con personaggi reali, psicologicamente definiti, derivati dalla diretta osservazione del mondo e della società; divertire il pubblico con un messaggio nel contempo educativo, che tendeva a premiare gli autentici valori umani e denunciando la sciocca superficialità della mentalità degli aristocratici o degli arricchiti), Goldoni si era impegnato a scrivere in quei dodici mesi ben “sedici commedie nuove”. Tra queste, la più fortunata fu senz’altro ‘La bottega del caffè’. Goldoni scelse per il suo debutto la città dei Gonzaga probabilmente per due motivi principali: già allora i panni sporchi bisognava lavarli in casa, epperò mettere alla berlina vizi privati (tanti) e pubbliche virtù (poche) poteva sollevare ire e risentimenti dei suoi concittadini lagunari. Inoltre, il caffè – “bevanda del diavolo” o in via subordinata “vino degli Arabi” poiché all’epoca appannaggio dei soli musulmani – era ancora nel mirino di Santa romana Chiesa. Bisognerà giungere al papato di Clemente VIII (iniziato nel 1592) per la sua completa riabilitazione. Leggenda narra che, durante un rito più goliardico che religioso, il Sommo Pontefice dichiarasse che “questa bevanda di Satana è talmente deliziosa che sarebbe un peccato lasciare che ne facciano uso esclusivamente gl’infedeli. Imbroglieremo Satana battezzandola!”.

Nella loro rilettura di questo classico tra i classici, il regista Igor Horvat ed Emanuele Aldrovandi (cui si deve l’adattamento) hanno dapprima badato a una radicale attualizzazione del testo, alleggerendolo dei settecenteschi cascami – detto in senso buono! – salvaguardando tuttavia due precisi intenti del commediografo: la bramosia per denaro e potere dell’emergente borghesia e, nella battuta di don Marzio (“L’importante è sapere le cose”), il richiamo alla conoscenza e a quella informazione che oggi sembra sommergerci, guardandoci quand’è possibile dalle fake news! Hanno poi trovato in Guido Buganza uno scenografo capace di “riassumere” con un trapezio metallico il campiello veneziano dove si muoveranno gli attori: un caffè, una bisca, l’altra “bottega” del barbiere e alcune abitazioni tra le quali quella della ballerina (o pellegrina?). Lo sfondo grigiastro con una luce fissa (nessun occhio di bue, nemmeno per accompagnare i momenti clou) e l’idea di uno schermo flou dietro il quale diversi personaggi ammiccano in ralenti sono senz’altro altrettanto degni di nota.

Bardato in modo da ricordare lo Shylock del ‘Mercante di Venezia’ shakeaspeariano, Antonio Ballerio affronta con piglio sicuro il ruolo di don Marzio, dando l’impressione – come ci confesserà a fine spettacolo – d’essersi sentito “un vegliardo che come Ibrahimovic guida uno stuolo di giovani attori di sicuro talento!”. In effetti giostrano a meraviglia questi suoi giovani colleghi – Pasquale di Filippo, Marta Malvestiti, Marco Risiglione, Sacha Trapletti, Anna Trevenzuoli, Massimiliano Zampetti (la voce delle news Rsi) e la sempre ammirevole Anahì Traversi –, rivelando già in questa “prima” vista martedì al Lac un invidiabile affiatamento (entrate, uscite, salti e corse), culminate in una bella scena condotta a ritmo rap che si conclude con lo stuolo d’attori fermi come in un lungo frame. Altri momenti pregnanti sono accompagnati dalle musiche di Zeno Gabaglio, il quale per l’occasione ci è parso attratto dalle eteree melodie dei Pink Floyd più che dagli stacchi violenti di Bernard Herrmann! Applausi convinti del pubblico luganese per tutta la troupe, che ha dimostrato di non aver affatto sofferto dell’anno di pausa dal debutto già annunciato giusto un anno fa e poi saltato all’ultimo momento a causa del maledetto lockdown.

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