Spettacoli

L’energia delle donne alle Giornate del cinema muto

Quarantesima edizione per il festival di Pordenone, punto di riferimento per un’arte che non invecchia

5 ottobre 2021
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Le 40esime Giornate del cinema muto di Pordenone si sono aperte con il capolavoro di Ernst Lubitsch ‘Lady Windermere’s Fan’ (Il ventaglio di Lady Windermere), presentato nel nuovissimo restauro del Museum of Modern Art di New York, accompagnato dal vivo dalla musica per trio di Carl Davis. Ma questa edizione si mostra preziosa non solo per la retrospettiva sulle sceneggiatrici americane del periodo muto, ma troviamo altre perle come rarità del primo cinema dalla Corea e ritrovamenti dalle cineteche di tutto il mondo. In quarant’anni le Giornate del cinema muto sono riuscite non solo a riscoprire e presentare film che hanno fatto la storia del cinema, ma anche a dare impulso a cineteche, università e istituzioni cinematografiche per una sistematica ricerca di quelle immagini che sono vero patrimonio dell’umanità, la prima possibilità di viva testimonianza della sua esistenza: non statue, non pitture, non letteratura, ma immagini in movimento, corpi narranti.

In quarant’anni molto si è ritrovato e ancora molto si sta cercando, e l’incontro di Pordenone è diventato un momento di scambio di informazioni sullo stato della ricerca e dei restauri. Quello che poi colpisce è il forte ricambio generazionale tra i ricercatori presenti: il cinema muto non è per i vecchi, è una miniera di emozioni, risate, lacrime, sorprese per ognuno che crede nella bellezza di quella che si chiamava, non sbagliando, la “Settima arte”. E basterebbe un film come il già citato ‘Lady Windermere’s Fan’ che il maestro Lubitsch trasse da Oscar Wilde nel 1925 per confermarlo: la fragilità umana viene messa in scena con una modernità che ci ricorda con forza il nostro essere ridicoli nel pensare vecchio un film che non ha neppure cento anni, offuscati dalle mode e dai ritmi di Facebook e WhatsApp abbiamo perso le misure del Tempo anche nel guardare l’arte. Il fatto è che Dante e Leonardo ci sembrano più vicini di Lubitsch, perché è solo uno che fa cinema, peccato che il Cinema non sia solo quella cosa che va su Netflix. Questo è il problema dei film che vengono presentati a Pordenone, “troppo grandi per poterne parlare senza rinnegare quello che si pensava prima del cinema” diceva Tullio Kezich.

Si diceva della retrospettiva dedicata alle sceneggiatrici americane: “L’arte nuova che si stava affermando un secolo fa non poteva non essere arricchita dall’energia creativa delle donne che portavano il loro talento per la narrazione nel mondo del cinema” si legge nel catalogo del festival. Ci è stata fatta conoscere Grace Cunard, una delle poche ad aver interpretato i testi di cui era autrice, tra cui anche dei serial, ma soprattutto Agnes Christine Johnston che nell’arco della sua vita (nata in Pennsylvania nel 1896, è morta a San Diego nel 1978) scrisse 84 film tra il 1915 e il 1948, tra cui ‘An Old Fashioned Boy’ del 1920 per la regia di Jerome Storm, all’epoca giudicato pericoloso per la tradizionale concezione della famiglia. Si tratta di una commedia stupenda in cui la protagonista femminile Betty (una sorprendente Ethel Shannon) disdegna la vita casalinga e la sua preferenza per i cani rispetto ai bambini, costituisce un preannuncio, fatale, del crollo della famiglia tradizionale. Un film dove viene anche messo in evidenza il perseverare maschilista dell’uomo conquistatore dell’oggetto femminile che concepisce solo come moglie casalinga, madre e infermiera nella vecchiaia.

Intanto il festival continua fino a sabato e già domani sera il pubblico ritroverà un film che ha fatto storia e polemiche: ‘Erotikon’ di Gustav Machatý, un capitolo fondamentale del rapporto tra erotismo e cinema. Questo è Cinema.

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